IL CORSIVO – Il “referendum” di Renzi (2016) e quello di Meloni (tra 40 giorni)

Otoliti e Ottovolante a parte, l’interpretazione maggiormente condivisa di quel “Scrivete Giorgia” sulla scheda elettorale delle europee è che la presidente del Consiglio abbia voluto lanciare la sfida di un referendum sul suo governo e su stessa, probabilmente prima su stessa e poi sul governo. Forse più un’esigenza di verifica, dopo le ultime polemiche sul 25 Aprile, che un atto di arroganza.
Come che sia, è altrettanto diffusa l’opinione che Giorgia Meloni abbia commesso un errore a metterla così: non foss’altro per aver sottovalutato cosa accadde nel dicembre 2016 all’allora Premier, Matteo Renzi, che pure lanciò la sfida sulla sua persona con il referendum costituzionale, fu battuto (59,1% contro) e coerentemente fece le valigie e lasciò Palazzo Chigi.
Certo, altro è il voto delle europee, altro il referendum. Tuttavia, in politica non si va mai tanto per il sottile: a volta basta un banale inciampo e ti rompi l’osso del collo. Rischia Giorgia, ma anche Elly. Ha voluto candidarsi anche contro il parere, invero molto ben motivato, di Romano Prodi, il più autorevole dei suoi santi protettori. Ha avuto coraggio, la segretaria del Pd. Sa bene, infatti, che se il partito non fa un buon risultato, calcolato qualche punto oltre il 20%, nonostante la sua candidatura, il Nazareno non consentirà il miracolo di lasciarla dov’è. Quaranta giorni all’alba del voto: tutto sommato, non dovremo aspettare più di tanto.

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