A porte aperte
– di Clara Spadea –
Circa trent’anni fa una donna, Donatella Cinelli Colombini, inventava la giornata di “Cantine Aperte” con la quale, per dare impulso al turismo del vino, chiedeva a cento produttori toscani suoi amici di aprire contemporaneamente ai visitatori le porte delle loro cantine in una domenica di maggio. Fu davvero un’idea eccellente dal momento che dal 1993 ad oggi questa manifestazione è attesa con entusiasmo per essere divenuta un evento storico e irrinunciabile che si ripete ogni anno in tutte le cantine d’Italia e sempre con grande successo.
Di recente ho ritrovato l’applicazione di questa idea delle “porte aperte”, in tutt’altro ambito.
In particolare da circa un mese, nel camminare nelle serate di agosto per il Corso di Avellino, ho scoperto che la Parrocchia della chiesa del SS. Rosario, situata proprio al centro del salotto di città, ha adottato l’idea di spalancare tutte le sue porte in pieno orario di passeggio per qualche ora, ovvero dalla fine delle funzioni religiose pomeridiane sino alla chiusura serale che avviene in genere più o meno intorno alle ore 20,00.
Ho da subito apprezzato molto tale iniziativa per le belle sensazioni che mi ha trasmesso, per il fascino che promana da questa insolita visuale dalle luci dell’altare, dalle candele accese sotto il crocifisso, dal silenzio in cui la chiesa viene avvolta ad una certa ora e che arriva agli occhi di chiunque, da fuori, si soffermi ad osservarla con curiosità e senza pregiudizi.
Nel pieno del frastuono delle festività del ferragosto, mi è sembrato come se la scelta delle porte aperte fosse stata posta in essere dal Parroco per consentire alla gioiosità e alla leggerezza, tipiche delle estive serate di festa, di entrare in quel luogo silenzioso di preghiera, spesso testimone solo di invocazioni e richieste di miracoli da parte di chi è oppresso da sofferenze personali; come se, cioè, si fosse voluto rendere la parrocchia partecipe non solo dei problemi dei fedeli, ma anche della vita cittadina in generale, quella più vivace e spensierata; far entrare al di qua di quelle porte le risate complici dei giovani, le grida allegre dei bambini, i programmi condivisi tra amici, insomma spicchi di vita che fanno bene al cuore di ciascuno, ed anche a quello di una chiesa che mostra di voler essere più vicina a tutti. Perché si sa, “tutto , in compagnia, diventa più lieto” (I. Brodskij).
Ma ora che, nonostante le luminarie ancora accese, il ferragosto è finito e l’autunno comincia a bussare e a farsi strada, quelle porte aperte acquisiscono per me un significato differente: sanno di inclusione, di invito ad entrare, non per recitare litanie o formule, ma per trovare attimi in cui il tempo non conta, né conta la luce fioca o la compagnia; entrarvi serve a farci scoprire la poesia che c’è in una preghiera fatta di solo silenzio o di uno sguardo nudo, fisso sul crocifisso , o anche semplicemente a farci vivere momenti di intimità con noi stessi in un luogo accogliente di facile accesso. O ancora, ci servirebbe da monito, affinché noi tutti imparassimo a tenere aperte in ogni momento le porte del nostro cuore, per essere sempre disponibili verso chi ne avesse bisogno , senza neppure dover bussare.
Forse tutte le chiese dovrebbero saper aprire le loro porte, per trasmetterci simili messaggi, per far arrivare, a chi è al di là, al viandante distratto e frettoloso, un piacevole senso di protezione e di sostegno che a volte sembra non esista da alcuna parte, o per invocare momenti di riflessione su quello che eravamo o che siamo diventati, su quanto ulteriormente potremmo fare per migliorare noi stessi e, quindi, questo mondo che va alla deriva ogni giorno di più, spesso per mano nostra, insomma per saper “restare piccoli rimorchiatori”, cioè umili eroi quotidiani, che sanno avere sogni ma anche tenerli da parte, sanno fare delle rinunce ma che intanto accettano di non sottrarsi ai propri compiti, perché, come dice il poeta russo Iosif Brodskij, premio Nobel per la letteratura 1987 nella “Ballata del piccolo rimorchiatore”, “per vincere non serve essere grandi”.
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