Accadde in settembre
– di Gabriele Meoli –
Tanta è la vicinanza, non solo topografica, tra Atripalda ed Avellino, ed unica la comunanza di vita, da potersi senza errore comprendere entrambi nell’espressione “Paese mio!”, che ben si addice ai loro momenti sia tristi che felici. Ed è per questo che ben si può dire che, se Avellino piange, Atripalda non ride!
Gli avvenimenti si inseguono implacabili, conservati dalla memoria, che spesso te li ripresenta, perché tu possa riviverli senza dimenticare.
L’amico Andrea Massaro, del quale mai avremmo purtroppo immaginato di dover ora piangere la recente scomparsa, appassionato storico di vita avellinese, alla pagina del suo Almanacco della città, intitolata “14 settembre 1943”, racconta che in quella data, giorno di mercato, alle ore 10,55, uno stormo di 36 bombardieri quadrimotori lasciarono cadere su Avellino tonnellate di bombe, che, falliti gli obiettivi, colpirono i posti più affollati della città, seminando morte e distruzione immane.
Questa accorata rievocazione del bravissimo Andrea Massaro ha avuto in me un giovanissimo (all’epoca) e quasi inconsapevole testimone, che, tra gli eventi più grandi di noi, ha vissuto anche quello del 14 settembre 1943, allorché, dall’alto di una collina dei dintorni, sulla quale ero rifugiato, vidi – e mi è rimasta in memoria – la scena come da film del bombardamento operato dal “fuoco amico”, che, per stanare gli avversari ed accelerarne la fuga, scendeva in ripetute “picchiate”, sulla sottostante città di Avellino.
Vidi, e ricordo tuttora con orrore, quelle “fortezze volanti”, dispensiere di morte, lasciar cadere dalla fusoliera numerosi corpi neri che, poco dopo, giunti al suolo, esplodevano con grandi boati, mentre un enorme polverone si sollevava dalle macerie della Città.
Atti ufficiali parlano d tremila vittime e di un patrimonio, pubblico e privato, distrutto, di una città allo sbando, quale tragico tributo pagato dal capoluogo irpino a quei fatti bellici.
La presenza delle forze tedesche sul nostro territorio indusse gli alleati in conflitto, prima di entrare in città, a liberarla con pesanti e ripetuti bombardamenti a tappeto, specialmente per la distruzione di obiettivi strategici.
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E questa la proposta di Ciro Alvino
UN MUSEO DELLA MEMORIA PER RICORDARE LE VITTIME DEL 14 SETTEMBRE 2023
di Ciro Alvino
Sono trascorsi poco meno di 30.000 giorni dall’eccidio di oltre tremila avellinesi, vittime sacrificali del Generale Dwight Eisenhower che chiese, ed ottenne, dal Presidente degli Stati Uniti d’America, di bombardare i ponti sui fiumi della città di Avellino allo scopo di tagliare i rifornimenti alle truppe tedesche in forza ad Ospedaletto d’Alpinolo.
Avellinesi che non immaginavano nemmeno che sarebbero divenuti un bersaglio di bombe da parte degli americani, per ben due volte buttati a mare dai tedeschi, e che, pur di poter sbarcare a Salerno e raggiungere Napoli attraverso l’Irpinia, la presero di mira con stormi di bombardieri che distrussero luoghi centralissimi come Piazza del Popolo, Piazza Libertà, la fiorente Atripalda ed altri Paesi limitrofi.
Di conseguenza Avellino fu catapultata nelle prime pagine della cronaca per il sacrificio umano.
Tuttavia, a distanza di 80 anni, la città non ha ancora un Museo della Memoria che consenta di far rivivere il passato per stimolare i giovani a non dimenticare, a studiare e comprendere l’accaduto e trarne degli insegnamenti per scrivere un futuro all’insegna del decoro, dell’intelligenza, della saggezza, e onorare chi sacrificò la vita in nome di un ideale di libertà, in un mondo, troppo spesso, avvilito e calpestato.
Avevo auspicato la creazione di questo Museo già all’atto della pubblicazione del romanzo “La Gelsa!”
Romanzo volto a far conoscere la seconda galleria ferroviaria della linea Avellino-Rocchetta Sant’Antonio che accolse nei giorni dei bombardamenti centinaia di persone in preda a una motivata paura e a evidenziare il nobile riscatto di spiriti limpidi e generosi.
Il ricordo va alle Figlie della Carità, che mostrarono, in uno scenario di suprema sofferenza, incomparabili doti di abnegazione e di altruismo; al monsignor Guido Luigi Bentivoglio, al preside dell’Istituto Agrario, ai Padri Domenicani, ai Padri Benedettini del Santuario di Montevergine, ai Frati Cappuccini, al dottor Domenico Laudicina di Trapani, che salvò tante vite umane assumendosi l’impegno e l’onere di dirigere l’ospedale Civile perché il primario si era dato vigliaccamente alla macchia nella campagna di Picarelli; a don Luigi Baratta che in quei giorni infelici sfidò i soldati tedeschi, armato del solo crocifisso, per portare il sostegno della religione cristiana agli agonizzanti e ai feriti, ed a Sabino De Pascale, medaglia d’oro al valore civile, per il coraggio e l’indefessa abnegazione dimostrati quel fatidico martedì 14 settembre 1943, quando, con raro senso civico, rimase nel suo negozio per soccorrere i concittadini elargendo generi e conforti di prima necessità.
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