IL CORSIVO – Io speriamo che me la cavo? Macché!

A proposito di Caivano. Degli stupri di due cuginette ad opera dei figli dell’onorata società mafiosa di quelle parti. Del degrado ambientale e sociale di fatto creato, alimentato e governato dalla camorra. Del coraggio di Don Patriciello nella denuncia e nell’azione. Dei troppi galli politici che oggi cantano sulla monnezza, dei populisti tanto al chilo privi di memoria e di decenza, di ex Premier ipocriti e senza scrupoli capaci di speculare perfino sulle disgrazie di due bambine. Vogliamo parlarne? Vogliamo farlo attraverso incontestabili testimonianze “culturali” almeno per dare una data certa a ciò che si poteva cominciare a fare e non è stato fatto?
Breve digressione geografica. La distanza tra Caivano e Arzano è sei chilometri in linea retta, dieci di guida. Il tempo di percorrenza, al lordo del traffico, è undici minuti. Caivano e Arzano non sono diversi in niente: sono due gocce dello stesso “mare” urbanistico, ambientale, sociale, culturale. Ciò che accade a Caivano è perfettamente sovrapponibile a ciò che accade ad Arzano e in tante altre realtà locali di quella parte dell’area metropolitana di Napoli.
Arzano (alias Caivano, alias quel territorio testé indicato) è il paese in cui insegnava il maestro Marcello D’Orta, reso famoso dal libro “Io speriamo che me la cavo”, una raccolta coordinata di sessanta temi svolti dai suoi allievi, il senso della vita in quei luoghi percepito e raccontato con la genuinità adolescenziale: un volume diventato best seller con oltre due milioni di copie vendute.
Era il 1990 (segnate la data). Nell’ottobre di due anni dopo, liberamente ispirato al libro di Marcello D’Orta, sotto lo stesso titolo arrivò nelle sale cinematografiche il film firmato da una grande Lina Wertmuller, con il maestro della scuola di Arzano (il paese apparve come Corzano) magistralmente interpretato da Paolo Villaggio.
Conosciamo tutti la trama del film. Ma quanti politici di questo o quel partito, quanti rappresentanti istituzionali locali (comunali, provinciali, regionali) e nazionali, quali parti sociali hanno avuto la volontà, la capacità, il coraggio di andare oltre la “scena”, e cogliere la denuncia della drammatica realtà ambientale, sociale e culturale che Wertmuller restituisce con la lettura di ciò che c’è dentro e dietro quell’Io speriamo che me la cavo?
Il maestro ligure Marco Tullio Sperelli (Paolo Villaggio), che per un banale errore burocratico d’assonanza viene assegnato alla scuola di Corzano, con la zeta, che poi è Arzano (in Campania), invece che a quella di Corsano con la esse (in Liguria), è in qualche senso l’interprete della “Legalità” e della “Normalità” che stimola la coscienza di quei ragazzi abbandonati a se stessi in un ambiente privo di Stato e pieno di camorra. L’impresa gli riesce perché guadagna la fiducia dei suoi allievi, alla fine anche quella di Raffaele, l’alunno emblematicamente interprete di tutto il peggio indotto in quei luoghi dalla mentalità camorrista.
E poi? Poi il maestro torna in Liguria. Dopo una breve apparizione, lo Stato si ritira. La scuola di “Corzano” torna quella che era. Il paese anche. Degrado ambientale e sociale. Il territorio fondamentalmente occupato dalla criminalità organizzata.
Tutto ciò – il libro bestseller, il film capolavoro di Lina Wertmuller – accadeva tra il 1990 e il 1992. Già 31 anni fa la fotografia della drammatica realtà di quei luoghi appariva limpida, inequivocabile. Difficile trovare traccia di qualcosa che in concreto sia stata fatta in tutto questo tempo. Strano meravigliarsi di quanto possa accadere di negativo e perfino di bestiale in un contesto del genere.
Veniamo all’attualità. Il Decreto Caivano varato dal governo in carica è un passo importante e concreto, ma soltanto un passo. Ne servono decime, centinaia ancora, e di corsa. Altro, però, è dover assistere allo spettacolo indegno di politici e politicanti – compresi ex Presidenti del Consiglio, ex Ministri e vecchi e nuovi Parlamentari – che in 31 anni di governi di centrosinistra e di centrodestra non hanno fatto un beneamato cavolo ma che oggi – con immensa dose di faccia tosta – o salgono in cattedra per dare improbabili lezioni di sano pragmatismo istituzionale; oppure, più diffusamente, ostentano straccionerie populiste zeppe d’ipocrisia.
Insomma e in conclusione, a differenza di quell’Io speriamo che me la cavo, così ricco di buona volontà ed energia interiore, la cosa assurda è che Lor Signori se la cavano sempre e senza sforzi. Finché dura.

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