IL CORSIVO – Questo Pd un po’ troppo così…
Toh! Il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, e l’ex ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, entrambi rappresentanti di vertice della minoranza Pd, “una mattina si son svegliati”. E invece d’intonare “Bella Ciao” alla corte di Schlein – Udite, Udite! – hanno avuto il fegato di contestare alla segretaria dem la totale mancanza di discussione (una volta si chiamava democrazia interna) su temi che invero meriterebbero approfonditi confronti d’idee e di opinioni prima di finire al vaglio di militanti e simpatizzanti dell’area di riferimento.
Attenzione, però: Bonaccini e Guerini lo hanno fatto senza alzare la voce nemmeno di un milionesimo di decibel, quasi in modalità “Lis” (Lingua Italiana dei Segni). E non perché avessero un temporaneo problema alle corde vocali, ma soltanto per non disturbare la “Manovratrice”.
Lo hanno fatto nel corso di un evento politico a Lodi. E non hanno scelto a caso due temi decisamente paradigmatici della sterzata sempre più a sinistra del Pd Radical Chic di Elly Schlein e giovani, ma anche vecchi, convertiti al “Compagnismo” (Leggi pure, per tutti gli altri, Dario Franceschini e Romano Prodi).
Il primo tema è quello del “Jobs act”, fiore all’occhiello del Pd al 41 per cento dell’ex segretario Matteo Renzi. La Schlein, saltando a piè pari ogni confronto nel partito, ha recentemente annunciato che appoggerà il referendum promosso dalla Cgil per l’abrogazione d’una delle innovazioni simbolo del riformismo piddì in materia di mercato del lavoro. Su questo versante, molto timidamente – lo dico o non lo dico? – Bonaccini e Guerini hanno colpito di spillo, nemmeno di fioretto, sostenendo che va bene la battaglia per il salario minimo, epperò “se la parola impresa sta scomparendo nell’agenda del Pd, significa che abbiamo un problema, perché senza imprese non c’è lavoro”. Più esplicitamente, ma sempre con lo spillo, al fioretto manco a pensarci, l’impavido duo riesce a proporre un affondo di questa portata: “È vero, c’è una leadership, ma dentro il mio partito voglio discutere: non voglio leggere che abbiamo deciso di aderire a un referendum senza che ne abbiamo discusso”.
L’altro tema, notoriamente molto caro all’ex ministro della Difesa, è la tentazione manifestata dalla Schlein di rivedere l’obiettivo d’aumentare al 2% del Pil le spese militari. Guerini ha ricordato che “Il Pd ha fatto scelte importanti nel marzo scorso, quando in Parlamento abbiamo votato un ordine del giorno con l’impegno di fissare quell’obiettivo al 2028”. Per la segretaria dem, invece, va assolutamente rivisto ciò che in materia è stato già concordato con la Nato, posizione in perfetta sintonia con il M5S di Conte e della sinistra più vicina a Putin che alla “martoriata Ucraina” (come la definisce Papa Francesco, un tantino in contraddizione con i pubblici apprezzamenti per la Grande Madre Russia oggi di Putin).
Insomma, su problemi di questa portata interna ed internazionale, così come su altre materie di particolare valenza politica, economica e sociale, le distanze tra le due anime del Partito Democratico sono decisamente più ampie delle diversità di vedute, pure molto significative, che si registrano all’interno della maggioranza di governo.
Il punto, comunque è un altro. Il punto è che quando la politica era una cosa seria, e a interpretarla c’erano partiti strutturati e all’altezza del compito (l’ex Pci, l’ex Dc, l’ex Psi, l’ex Pri, l’ex Pli, l’ex Msi, lo stesso Pd degli anni di Veltroni e di Bersani e fino a Renzi), lo scontro interno su temi e problemi, non solo di primo piano, avveniva a viso aperto, sbattendo i pugni sul tavolo, con la forza del Pensiero e il Coraggio e la Dignità delle proprie idee.
Bonaccini e Guerini, dopo mesi di silenzio, si rivolgono oggi alla Schlein e alla sua corte d’improbabili futuri leader con colpetti di tosse appena accennati, innocui afflati, il detto e non detto, il comunicato e subito dopo precisato. E allora ecco spiegato perché il Pd, unico partito del centrosinistra ancora ben strutturato e presente sull’intero territorio nazionale, sempre più pare destinato a fallire l’obiettivo di una coalizione alternativa al governo di centrodestra in tempi ragionevoli. Nei suoi protagonisti di primo piano manca l’essenziale: mancano gli attributi, politicamente e anatomicamente intesi.
Attenzione, però: Bonaccini e Guerini lo hanno fatto senza alzare la voce nemmeno di un milionesimo di decibel, quasi in modalità “Lis” (Lingua Italiana dei Segni). E non perché avessero un temporaneo problema alle corde vocali, ma soltanto per non disturbare la “Manovratrice”.
Lo hanno fatto nel corso di un evento politico a Lodi. E non hanno scelto a caso due temi decisamente paradigmatici della sterzata sempre più a sinistra del Pd Radical Chic di Elly Schlein e giovani, ma anche vecchi, convertiti al “Compagnismo” (Leggi pure, per tutti gli altri, Dario Franceschini e Romano Prodi).
Il primo tema è quello del “Jobs act”, fiore all’occhiello del Pd al 41 per cento dell’ex segretario Matteo Renzi. La Schlein, saltando a piè pari ogni confronto nel partito, ha recentemente annunciato che appoggerà il referendum promosso dalla Cgil per l’abrogazione d’una delle innovazioni simbolo del riformismo piddì in materia di mercato del lavoro. Su questo versante, molto timidamente – lo dico o non lo dico? – Bonaccini e Guerini hanno colpito di spillo, nemmeno di fioretto, sostenendo che va bene la battaglia per il salario minimo, epperò “se la parola impresa sta scomparendo nell’agenda del Pd, significa che abbiamo un problema, perché senza imprese non c’è lavoro”. Più esplicitamente, ma sempre con lo spillo, al fioretto manco a pensarci, l’impavido duo riesce a proporre un affondo di questa portata: “È vero, c’è una leadership, ma dentro il mio partito voglio discutere: non voglio leggere che abbiamo deciso di aderire a un referendum senza che ne abbiamo discusso”.
L’altro tema, notoriamente molto caro all’ex ministro della Difesa, è la tentazione manifestata dalla Schlein di rivedere l’obiettivo d’aumentare al 2% del Pil le spese militari. Guerini ha ricordato che “Il Pd ha fatto scelte importanti nel marzo scorso, quando in Parlamento abbiamo votato un ordine del giorno con l’impegno di fissare quell’obiettivo al 2028”. Per la segretaria dem, invece, va assolutamente rivisto ciò che in materia è stato già concordato con la Nato, posizione in perfetta sintonia con il M5S di Conte e della sinistra più vicina a Putin che alla “martoriata Ucraina” (come la definisce Papa Francesco, un tantino in contraddizione con i pubblici apprezzamenti per la Grande Madre Russia oggi di Putin).
Insomma, su problemi di questa portata interna ed internazionale, così come su altre materie di particolare valenza politica, economica e sociale, le distanze tra le due anime del Partito Democratico sono decisamente più ampie delle diversità di vedute, pure molto significative, che si registrano all’interno della maggioranza di governo.
Il punto, comunque è un altro. Il punto è che quando la politica era una cosa seria, e a interpretarla c’erano partiti strutturati e all’altezza del compito (l’ex Pci, l’ex Dc, l’ex Psi, l’ex Pri, l’ex Pli, l’ex Msi, lo stesso Pd degli anni di Veltroni e di Bersani e fino a Renzi), lo scontro interno su temi e problemi, non solo di primo piano, avveniva a viso aperto, sbattendo i pugni sul tavolo, con la forza del Pensiero e il Coraggio e la Dignità delle proprie idee.
Bonaccini e Guerini, dopo mesi di silenzio, si rivolgono oggi alla Schlein e alla sua corte d’improbabili futuri leader con colpetti di tosse appena accennati, innocui afflati, il detto e non detto, il comunicato e subito dopo precisato. E allora ecco spiegato perché il Pd, unico partito del centrosinistra ancora ben strutturato e presente sull’intero territorio nazionale, sempre più pare destinato a fallire l’obiettivo di una coalizione alternativa al governo di centrodestra in tempi ragionevoli. Nei suoi protagonisti di primo piano manca l’essenziale: mancano gli attributi, politicamente e anatomicamente intesi.
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