IL CORSIVO – Giuseppe Conte tra il dire e il fare
Intervista del Corriere del Mezzogiorno (Michele Cozzi) al leader M5S Giuseppe Conte.
Una delle domande: “Emiliano in Puglia e De Luca in Campania premono per il terzo mandato alle regionali. Qual è la posizione del Movimento?”.
La risposta: “Come sapete, sulla questione dei mandati elettivi il M5S rappresenta un unicum nel panorama politico italiano. Il dibattito ora sorto riguarda tanti governatori uscenti di ambo gli schieramenti. Noi, dal canto nostro, abbiano sempre pensato che la politica non debba diventare una professione ma sono le professionalità di ogni cittadino a dover essere al servizio della Repubblica”.
Che belle parole, quelle dell’Onorevole Presidente Professor Giuseppe Conte! Parole Alte e Nobili che restituiscono il profilo di un Cittadino Modello tutto Stato e Virtù.
Peccato però che Conte, capitato a Palazzo Chigi per un banale inciampo della Storia, quando ne è uscito ha di fatto accettato le vesti di “professionista” della politica dicendo un primo sì al ruolo di leader del M5S e un secondo sì alla candidatura (con elezione certa) al Parlamento.
Non starò qui a raccontare che egli è il tipico esempio del Tizio che parla bene, anzi benissimo, e razzola male, anzi malissimo. Non lo racconto perché non lo penso. Tuttavia nascono spontanee due domande niente affatto retoriche. La prima sui mandati elettivi. Le sue parole di oggi significano che egli non accetterà di ricandidarsi alle prossime elezioni per non diventare un politico di professione? La seconda sul ruolo Alto e Nobile dei “servitori” della Repubblica. L’ex Premier è un professore universitario di ruolo. Se crede davvero in ciò che ha detto, come spiega d’aver abbracciato volontariamente la “professione” politica ricoprendo di fatto non una ma addirittura due cariche autentiche dei professionisti della politica? In altre parole, giacché è titolare di cattedra universitaria, non avrebbe potuto, più coerentemente con ciò che dice, mettere la sua “professionalità” al servizio della Repubblica senza diventare di fatto – si scusi il bisticcio – un politico di professione?
Niente di personale. È solo una questione di logica elementare di ciò che si fa rispetto a ciò che si dice e (forse) davvero si pensa.
Una delle domande: “Emiliano in Puglia e De Luca in Campania premono per il terzo mandato alle regionali. Qual è la posizione del Movimento?”.
La risposta: “Come sapete, sulla questione dei mandati elettivi il M5S rappresenta un unicum nel panorama politico italiano. Il dibattito ora sorto riguarda tanti governatori uscenti di ambo gli schieramenti. Noi, dal canto nostro, abbiano sempre pensato che la politica non debba diventare una professione ma sono le professionalità di ogni cittadino a dover essere al servizio della Repubblica”.
Che belle parole, quelle dell’Onorevole Presidente Professor Giuseppe Conte! Parole Alte e Nobili che restituiscono il profilo di un Cittadino Modello tutto Stato e Virtù.
Peccato però che Conte, capitato a Palazzo Chigi per un banale inciampo della Storia, quando ne è uscito ha di fatto accettato le vesti di “professionista” della politica dicendo un primo sì al ruolo di leader del M5S e un secondo sì alla candidatura (con elezione certa) al Parlamento.
Non starò qui a raccontare che egli è il tipico esempio del Tizio che parla bene, anzi benissimo, e razzola male, anzi malissimo. Non lo racconto perché non lo penso. Tuttavia nascono spontanee due domande niente affatto retoriche. La prima sui mandati elettivi. Le sue parole di oggi significano che egli non accetterà di ricandidarsi alle prossime elezioni per non diventare un politico di professione? La seconda sul ruolo Alto e Nobile dei “servitori” della Repubblica. L’ex Premier è un professore universitario di ruolo. Se crede davvero in ciò che ha detto, come spiega d’aver abbracciato volontariamente la “professione” politica ricoprendo di fatto non una ma addirittura due cariche autentiche dei professionisti della politica? In altre parole, giacché è titolare di cattedra universitaria, non avrebbe potuto, più coerentemente con ciò che dice, mettere la sua “professionalità” al servizio della Repubblica senza diventare di fatto – si scusi il bisticcio – un politico di professione?
Niente di personale. È solo una questione di logica elementare di ciò che si fa rispetto a ciò che si dice e (forse) davvero si pensa.
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