La Giustizia nell’Antico Egitto
La funzione della Giustizia, nell’antico Egitto, si considerava impersonata dalla dea Maat, divinità che presiedeva la verità e l’ordine eterno dell’universo.
Essa recava sulla propria testa, come suo simbolo, una penna di struzzo.
La sua amministrazione era presieduta dal faraone, il quale, come espressione dell’ideale di giustizia, dettava le leggi in armonia con le regole dell’organizzazione cosmica attuata nella creazione. Infatti il “corpus” giuridico risultava costituito, oltre che dalle originarie norme dettate dagli dei e da antichi re, anche dai successivi decreti, atti concessori e sentenze giudiziarie emanate nel tempo, scritte in demotico o in greco in più recenti papiri giuridici.
Pertanto su ciascun nuovo caso potevano adottarsi ulteriori determinazioni modificative o integrative, senza doversi necessariamente alterare il diritto preesistente, sì che il re poteva anche prendere risoluzioni difformi dalla legislazione vigente, purché non in contrasto con l’idea di Maat.
Costei era la protettrice dei giudici e la sua immagine presiedeva i processi.
Ma era il faraone a dover garantire, anche con atti, incenso e libagione nei templi in onore della divinità, l’ordine e la giustizia, governando ispirato alla verità e prevenendo disordini secondo la natura.
Le sentenze venivano da lui emesse ed al suo giudizio poteva sottoporsi ogni questione.
Tra il faraone e gli organi di governo operava il visir, aiutato dai rappresentanti dell’amministrazione giudiziaria.
Egli era giudice supremo e doveva essere equanime con tutti.
Ad emblema della sua importanza, indossava lunghe vesti annodate sotto il petto, sul quale portava l’effigie della dea Maat a conferma di essere garante dell’ordine morale, verità e giustizia.
Quando i tribunali locali dovevano decidere su controversie di particolare importanza, il visir inviava sul luogo un suo funzionario che giudicava insieme ai giudici locali.
Al tempo della quinta dinastia, funzionavano sei tribunali denominati “dimore venerabili”.
Anche nel nuovo regno vi erano tribunali locali, competenti alle indagini del luogo della relativa causa.
Nei procedimenti in materia civile, le parti si difendevano di persona e le decisioni si fondavano su prove documentali e deposizioni di testimoni.
I processi penali iniziavano con l’interrogatorio dell’imputato, a volte accompagnato persino dalla tortura.
La pena per il colpevole veniva scelta dal faraone.
Era possibile un’impugnazione con ricorso agli oracoli, chiedendo giustizia alla statua di un re o di un dio.
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