IL CORSIVO – Se Kuleba batte Travaglio… ai calci di rigore
Troppo interessante e simpatico, per non riprenderlo in Siringa, il siparietto di qualche giorno fa tra il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, e il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, ospiti di Lilli Gruber a “Otto e mezzo” su La 7.
La scena. Il giornalista esibisce l’inconfondibile ghigno sarcastico che anticipa i suoi affondi. Il ministro appare teso, evidentemente consapevole che, tra Putin e Zelensky, l’interlocutore “tira” per il primo senza se e senza ma, in linea con la posizione del M5S che tanto ama.
Naturalmente si parla dell’andamento della guerra.
Travaglio riprende un passaggio dell’intervento di Kuleba e attacca: “La metafora calcistica è perfetta. Se, dopo un anno e mezzo che si gioca in campo, una squadra prende 5 gol dall’altra, come voi avete preso con l’occupazione della Crimea e quattro delle vostre regioni, e le vostre controffensive hanno sfiorato più volte i pali senza centrarli mai… È un problema che si pone nei confronti dei vostri alleati, che sostengono che non riuscirete a pareggiare quei 5 gol e tantomeno a fare il resto”.
Ed è a questo punto che arriva la risposta arguta e spiazzante di Kuleba. Anch’egli ricorre alla metafora calcistica, e segna un gol da antologia: “Mi ricordo una finale di Champions League molto affascinante. Dopo il primo tempo il Milan vinceva 3 a 0 sul Liverpool: il Milan dominava in lungo e in largo sul terreno di gioco, controllava il campo. Sono sicuro di non dover ricordare come sia finita quella partita…”.
Piace a me ricordare al direttore del Fatto Quotidiano come finì. Stadio di Istanbul, 25 maggio 2005: il Liverpool rimontò i tre gol e ai rigori sconfisse il Milan.
Cosa dire a chiosa? Nessuna sorpresa per il compiaciuto sarcasmo di Travaglio che “tifa” per Putin come se l’Ucraina fosse l’aggressore e la Russia la vittima. Nessuna sorpresa perché non è la prima volta, e nemmeno l’ultima sarà, che Travaglio mette il suo talento giornalistico, oggettivamente notevole, a servigio delle cause politiche sbagliate. È questione d’Egolatria, non è altro.
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