Elly Schlein non sa vincere. E nemmeno perdere
Il Pd di Elly Schlein e compagnucci della segreteria usciti dal proverbiale cilindro hanno rimediato una sonora sconfitta ai ballottaggi delle amministrative e ai primi turni in Sicilia. Tre dati significativi: 1) Il Partito Democratico perde ovunque nelle regioni dei nuovi capibastone senza voti della Schlein (leggi Marta Bonafoni nel Lazio, Marco Furfaro ed Emiliano Toschi in Toscana, Francesco Boccia in Puglia, Beppe Provenzano in Sicilia); 2) Conquista comuni importanti nella Campania presidiata dal vecchio capobastone De Luca, il medesimo De Luca che la leader venuta dal Nulla vorrebbe cancellare; 3) Vince a sorpresa a Vicenza, seppure per soli 500 voti, dove il candidato sindaco eletto, Giacomo Possamai, di soli 33 anni, aveva supplicato la segretaria nazionale e gli attuali vertici del partito di non farsi vedere nella sua città durante la campagna elettorale, quasi a dire: “Ho una sola possibilità di vincere: gli elettori non devono associarmi a voi”.
Elly Schlein ha avuto il buon senso di riconoscere la disfatta, epperò non ha rinunciato a declinare in tutte le salse i se e i ma mai dismessi da una certa sinistra apparentemente compagnona, di fatto sempre più autoreferenziale e radical chic. Sicché, ai rilievi critici mossi sul suo arrogante fare tutto da sola, la leader venuta dal Nulla ha scelto di rispondere stizzita: “Non statemi addosso, datemi tempo”.
È il caso di chiedere: tempo per cosa? Per andare controtempo e portare il Pd – scusate il bisticcio – ai tempi del Pci pre-Berlinguer? Tempo per far confondere sempre più il Pd con la Cgil di Landini, o meglio per farne una succursale della Cgil? Tempo per allontanare irrecuperabilmente parte abbondante di elettori che dal 2008 votano Pd proprio perché è “cosa” diversa dall’ex Pci e dall’ex Dc?
Elly Schlein ha tutto il diritto di fondare un partito a sua immagine e somiglianza assieme a Boccia, Provenzano ed altri illuminati scienziati politici dalle sembianze testé tratteggiate. Forse non ha il diritto di stravolgere i connotati e il Dna di un Partito Democratico nato per essere l’evoluzione positiva in senso progressista e riformista delle culture ex Pci ed ex Dc, non un doppio salto all’indietro, che potrebbe rivelarsi “mortale” sia per il Pd che per il rafforzamento della democrazia. Di certo non si vincono le elezioni con il metodo, lo stile e l’anacronistica ideologia massimalista di una leader che insegue Landini nelle piazze, non per ragionare di politica ma per strillare che non va bene nulla, nemmeno le cose che aveva proposto il Pd e che l’attuale governo ha inserito nella propria agenda.
Insomma, diciamolo: al confronto con la Schlein, Giorgia Meloni appare immensa, fino a raffigurare la Statista che magari non è.
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