Elisir di giovinezza
Nella mente, di continuo, un pensiero “ti ragiona”.
È il richiamo della propria giovinezza, sempre felice, anche se fatta di nulla.
Si sa che il tempo andato appare sempre più lieto, tanto che vorresti riaverlo, riavvolgendo magicamente quel filo.
Quando ormai non hai più molte risorse, è dolce tuttavia potersi rifugiare nei ricordi, sempre gli stessi, che però si ripresentano come quando, non soddisfatto di un’immagine, gradisci rivederla, ripetutamente.
La giovinezza è davvero un misterioso filtro di immenso gradimento; ma, purtroppo, te ne accorgi solo quando essa è già passata e vorresti riaverla.
Con essa si affievoliscono anche le sembianze dei coetanei, che all’epoca completavano la spensieratezza di una vita in comune ed il ricordo di fatti vissuti insieme.
Un cambiamento, intanto, si annunciava, con il fremito della stessa età verde; ne rimanevamo ansiosi per inspiegabili aspettative.
Erano i giorni di prima luce, come quelli dell’alba, perché la nostra giovinezza era un’esperienza nuova, mai prima d’allor provata.
E ci era cara.
Non avevamo l’illusione di poter rinascere, poiché non v’era ancora lo struggimento di un’età perduta, pur divenendo i nostri sentimenti già sfumati ed incerti.
Ma, in quell’epoca, ognuno di noi, fiducioso, mandava “da una balza/la sua cometa per il ciel turchino”; e nessuno invece, aveva ancora visto cadere neppure gli aquiloni; anzi tutti stringevamo al petto la nostra fanciullezza “come i suoi candidi petali un fiore”.
E sopravvennero presto nuove esperienze.
Divenimmo così, la “gioventù del loco”, quella che, magari tutta vestita a festa, “mira ed è mirata, e in cor s’allegra”.
Non ancora, infatti, se ne era del tutto fuggito il dì di festa; al quale, poi, “il giorno volgar succede”.
Erano i banchi di Scuola ad accoglierci e consentirci, forse, di sognare.
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