Renzi 49%, Calenda 51%: di responsabilità
E allora che si fa: Carlo Calenda e Matteo Renzi divorziano ancor prima di sposarsi? Tutto sommato, l’idea sarebbe perfino originale. E se fosse tutta una fiction, una recita a soggetto, praticamente in linea con la natura commediante dei due intelligenti ma non facilmente digeribili personaggi?
Senza scomodare i manzoniani “polli di Renzo”, un antico saggio garantisce che quando ci sono più galli in un pollaio non fa mai giorno. Carlo e Matteo sono soltanto due (di galli): ma fanno il casino almeno di cento. È dunque assodato: se non stanno fingendo, se davvero sono lì lì per divorziare, addirittura senza esser prima convolati a nozze, ogni dubbio svanisce, non farà giorno per il Terzo polo, nemmeno se in soccorso ai due galli arriveranno, dall’una e dall’altra sponda politica, covate di galline vestite da pompieri (come pure è accaduto in queste ultime ore).
Addio Terzo polo – vale sottolinearlo – significa anche addio Azione e addio Italia viva. Perché, se già è molto difficile avere una terza forza politica in grado di fermare il bipolarismo centrodestra-centrosinistra che si va consolidando, figurarsi come potrebbero mai riuscirci singolarmente Azione e Italia viva.
Intanto, la domanda che ora spontaneamente si pone è la seguente: di chi è la maggiore colpa, di Carlo o di Matteo se si è arrivati agi stracci in faccia?
Lo sappiamo: nel Dna di Renzi c’è una buona dose di vocazione alla “rottura” in ogni senso intesa. Appare tutt’altro che azzardato addebitare a lui, diremmo “per definizione”, un 49 per cento di responsabilità. Il 51, però, altrettanto senza azzardo, è suo, di Calenda. Il perché ve lo diciamo tra poche righe, subito dopo aver trascritto uno dei passaggi più significativi dell’intervista del leader di Azione pubblicata sul Corsera di ieri.
La domanda della giornalista (Maria Teresa Meli): “Italia viva dice che lei si è arrabbiato perché loro vogliono contrapporle un altro candidato al congresso…”.
La risposta: “Queste sono armi di distrazione di massa. Ho auspicato pubblicamente mille volte che ci siano altri contendenti. Il punto è uno solo: alla fine di questo processo ci sarà un partito o tre partiti? In quest’ultimo caso Azione non ci sarà perché in quel modo si crea solo un caos gigantesco e perché io, in tutta franchezza, non metto il futuro del partito nelle mani di quello che sarà in un dato momento l’umore di Renzi. In ogni caso, Azione andrà avanti a costruire la casa dei riformisti, dei liberaldemocratici e dei popolari con chi vorrà lavorare seriamente a questo progetto. Ripeto, seriamente”.
E adesso ci siamo con la chiosa sul 51 per cento suddetto. Se “lavorare seriamente”, nella sintassi politica cui Calenda ci ha sin qui abituati, significa “pensare” come la pensa lui, “fare” come dice lui, “comandare” solo lui, in buona sostanza “Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio all’infuori di me”, beh, si rassegni Carlo: non troverà nessuna persona appena un tantino pensante disposta a venerarlo. Ripeto, venerarlo.
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