Atripalda – Il breve ritorno del baratto
Sembrò, per qualche tempo, d’esser ritornati a tempi davvero remoti, quando i beni della vita erano soltanto quelli essenziali e indispensabili per poter sopravvivere, in sostanza quelli necessari per non aver fame, né sete, né freddo (come pure ritenne Epicuro, adulando il “piacere”).
Ma il fenomeno non era quello di un felice ritorno all’antico, bensì quello, mostruoso, della guerra in corso in quei tormentati anni quaranta.
Le conseguenti ristrettezze di tal momento ci avevano costretti ad accontentarci dell’essenziale; di tal che, un po’ dovunque e quindi anche ad Atripalda, le famiglie si mantenevano curando principalmente le loro patetiche “provviste” di cibo.
Ricordo, senza vergogna, che si “tesaurizzava” nell’economia domestica, conservando in cantina qualche cesto di patate o di ortaggi vari, un po’ di legumi e, riccamente, un eccezionale mezzo litro di olio commestibile.
Le madri d famiglia custodivano gelosamente ed amministravano con molta saggezza tutto questo “patrimonio”, esenti dalle spire dell’immancabile “mercato nero”.
Ma v’era anche la difficoltà o diffidenza dei privati produttori di così importanti beni nel riceversi dai consumatori (pure compaesani) un pagamento in danaro contante, anche perché, molto spesso, gli stessi compratori non ne avevano pronta disponibilità.
Sorse, così, in Paese, anzi ritornò da molto lontano quell’antichissimo modo di scambio in natura di beni con beni, già praticato dai primi abitanti col nome di “baratto”, poi modernizzato in “permuta”; che consentiva, com’è noto, la circolazione diretta dei beni, senza l’intermediazione rappresentativa del danaro.
In sostanza, anche in Atripalda, per un po’ ed in via eccezionale, ci si trovò “ritornati alle origini”; sì che, ad esempio, si poté, secondo il bisogno, acquistare un po’ di fagioli o ceci, barattandoli con qualche chilogrammo di farina, oppure dare alcuni chili di patate per ottenere, magari, un discreto quantitativo di pasta, od anche cedere un pochissimo “prezioso” olio da cucina per altre controprestazioni alimentari.
A volte, se accettati dall’alienante, entravano nello scambio anche effetti di vestiario e, raramente, qualche insignificante “oggetto di valore”.
Di tutto ciò mi resta soltanto un lontano e vago ricordo, poiché gli eventi precipitavano inarrestabili e nuove prospettive e differenti problemi si profilarono all’orizzonte.
Infatti, il mondo era in rapido cambiamento; nel quale quella breve parentesi del “baratto” ben resto si chiuse, per far riprendere alla vita un suo corso “più normale”, pur tra tante difficoltà, vecchie e nuove, da affrontare.
Essa, anche nel nostro Paese, doveva continuare e cambiare, come la storia di noi tutti richiedeva.
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