Atripalda – Il suono triste di una tromba
Adiacente al cancello di ingresso all’area della Scuola elementare di Atripalda, sulla stesso piazzale “Vittorio Veneto” della via Roma, si apre una gradinata che porta alla soprastante Chiesa, a noi sempre nota col nome di San Nicola, un po’ avvolta dal mistero, forse anche perché quasi sempre chiusa e non praticata al culto.
Ma nel Venerdì Santo di ogni anno, in attesa della Pasqua, quel complesso sacro aveva, da tempo remoto, il suo momento di maggiore notorietà.
Infatti, sul piccolo suo sagrato elevato dal suolo, per antica consuetudine (chi sa da quando e perché formatasi), compariva un suonatore di tromba.
Il suo compito era quello di intonare ( e ne era davvero bravo) due o tre prolungati squilli, con quel suo strumento, ripetuti sempre con le stesse note, per gran parte del giorno.
Tutti noi li udivamo senza meravigliarci, poiché sapevamo che essi esprimevano, in quel modo, la passione e morte di Cristo, prima della suggestiva rievocazione delle sue “cadute” sul Golgota, che sarebbero state rappresentate lungo la solita collinetta di San Pasquale.
Tutta questa manifestazione, che è sperabile sopravviva ancor oggi, si svolgeva in un clima di emozioni e commozione, rese anche più intense dalla calda primavera che ospitava quell’evento.
I luoghi del nostro Paese hanno spesso fatto anche da “scenario” capace di farci rivivere importanti momenti, come se fossero sempre attuali.
E quelle tristi note di tromba sono anch’esse rimaste impressi nel ricordo di molti di noi, tanto che, al pensarci, sembra ancora di risentirle.
Erano come una preghiera, ma ci pareva come fossero un lamento in un triste momento, che ci commuoveva persino.
Appartenevano ad un costume del nostro piccolo mondo paesano, rimasto per noi unico e molto caro.
Atripalda era ed è sempre bella, come una signora che non invecchia, anche per queste caratteristiche tutte sue; che è sperabile si conservino senza tempo, nonostante i suoi inevitabili cambiamenti.
Quel suono di tromba può idealmente fare da monito alle nuove generazioni di Atripaldesi, che subentrano scalpitanti, energiche speranze, piene di tenersi giustamente stretto il loro avvenire.
Esse vanno quindi incoraggiate, sostenute, amate.
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