Anais Ginori e la “Cronosofia”
Scrivere è come avere un lucchetto a combinazione che si sblocca quando il tempo rallenta. Il tempo che rallenta è potente, libera dalla prigionia del fare, del vivere ciecamente e frettolosamente, rompe le catene della frenesia che a volte sembrano essere indistruttibili e ci riporta nella dimensione umana, all’essenza di ciò che siamo.
Rifletto, dopo essermi fermata da una quotidianità frenetica che da mesi non mi perdona, assorbendo tutte le mie energie.
Il mio tempo si è fermato grazie a un volo aereo di 6 ore, destinazione Bahrain, per una trasferta di lavoro.
Ho comprato un quotidiano cartaceo, cosa che non facevo dal primo lockdown causato dalla pandemia del Covid-19, nel marzo 2020, e lo sto leggendo.
Anche leggere rappresenta una forma di ribellione alla fretta del fare, un potente antidoto contro l’intrappolamento da iperattività.
In quelle settimane apocalittiche che sembrano già appartenere ad un altro secolo, ricevevo un quotidiano cartaceo ogni mattina. Lo attendevo con ansia, lo leggevo tutto, con calma, affinché durasse il più a lungo possibile e riempisse quei giorni surreali.
In quei lunghi mesi in cui il tempo ha cambiato i suoi e i nostri connotati, la pandemia ci ha fornito una nuova chiave di lettura, ha creato una nuova unità di misura delle nostre esistenze più o meno appagate, irrisolte, soddisfacenti, consapevoli e del tempo che le scandisce.
I concetti di “sospensione e accelerazione” sono diventati oggetto di studio e di osservazione da parte di molti studiosi in diversi ambiti e discipline.
Mentre volo verso il Bahrain, nella mia sospensione reale e metaforica, leggo il quotidiano e vengo attratta da un articolo del filosofo belga Anais Ginori.
L’autore si sofferma in modo molto acuto sull’attuale tema della “navigazione tra nostalgia del passato, dipendenza dal presente e inquietudine del domani”.
Una sorta di caos emotivo dal quale nessuno di noi è escluso, seppur in forme e intensità diverse.
“Vivere non è altro che avere tempo”,
ci dice Anais Ginori.
Ma la cosa interessante che lo studioso ci fa notare in una sofisticata intervista, è la possibilità di osservare il tempo in una coniugazione soggettiva.
Interessante come il filosofo si soffermi sul concetto di tempo come fattore sia culturale sia conflittuale.
A tal proposito, esistono persone per le quali il tempo migliore è quello passato e che su questa certezza fondano le basi del loro presente e del loro futuro.
Queste persone vivono in uno stato di perenne nostalgia, di riproduzione di sè stessi e del mondo per come erano e per come era, investono nel passato e pongono in esso tutta la loro fiducia o, paradossalmente, l’aspettativa.
Vi sono, altresì, individui fedeli al concetto di “carpe diem” nella sua accezione più estrema del “cogliere l’attimo” e del vivere il contingente e su questo impostano e impongono tutta la loro vita.
E poi ci sono coloro che vivono il presente esclusivamente in funzione del futuro, ponendosi ogni giorno, nevroticamente, di fronte a nuovi progetti, nuove sfide, nuovi orizzonti, sicuri della loro formula vincente che ripudia ogni nostalgia del passato.
Una sorta di strategia del “mordere e fuggire” da un presente che diventa già superato e irrilevante. Parola d’ordine: “domani”.
In realtà, è da secoli che combattiamo per comprendere il senso del tempo osservando, ad esempio, la contrapposizione tra Fato e Progresso, quel progresso che serve a trasformare l’oggi in domani.
Siamo poi giunti al “calcolo maniacale” del tempo in ogni cosa: dal sapere quanto manca esattamente all’arrivo a destinazione, al sapere quanto manca esattamente alla fine di un film, al sapere quanto manca alla nostra attesa.
Il tutto, esasperando le nostre ansie, accentuando i sensi, le frustrazioni, le emozioni, non sempre in modo costruttivo.
La riflessione che ne consegue è che il calcolo del tempo, ovvero la sua “matematizzazione” allontana il mondo dalle sue capacità sensibili, quindi lo spinge verso direzioni estreme, potenzialmente pericolose. La perdita di sensibilità equivale alla perdita di identità con conseguenze irreversibili.
Tuttavia, il trend è “reagire prima di decidere” o di pensare, cogliere compulsivamente l’occasione che non tornerà più, anticiparla.
Si pensi all’ansia della scadenza di una Apocalisse ( ancorché su base scientifica) che ci spinge, ad esempio, a credere di essere privati di un futuro e a investire compulsivamente – non sempre adeguatamente- in tempo ed energie, in tecnologia ed ecologia per preservarci il futuro.
I giovani vivono questa paura in modo incontrollabile.
In questo caos di convinzioni, certezze e incertezze, dubbi e supposizioni in merito al tempo e alla sua “scadenza”, come gestire le nostre vite materiali e intellettuali? Cosa scegliere? Quale rappresentazione di temporalità ci corrisponde?
Ginori conclude con una risposta: la “Cronosofia”.
Una forma di saggezza basata sulla figura dell’ “Occasione” che egli esprime attraverso la bella immagine di Kairos, un piccolo dio greco raffigurato con la testa rasata, segno dell’inafferrabilità.
Difficile dare una risposta alla domanda posta, ma una cosa è certa: avere tempo” deve tornare a essere un concetto umano e non matematico perché bisogna avere il coraggio di prenderlo o di lasciarlo in base al nostro “io” più profondo.
La nostra quotidiana “sfida alla clessidra” ha senso solo in quanto rappresenta la vita e per questo è nostro dovere essere noi stessi i misuratori del “Nostro Tempo”, ossia trovare lo schema che più si addice al nostro essere.
Abbiamo il diritto e il dovere di rispettare i nostri sogni, i nostri bisogni e i nostri desideri prima che questi vengano divorati da una scansione sempre più opprimente, capace solo di generare un tempo mutilato, segmentato, frammentato, congeniale a tutto e a tutti, tranne che a noi stessi.
I commenti sono chiusi.