IN MEMORIA DI GERARDO BIANCO / FAVE, SALE E CARMASCIANO…

(F.G. – Della scomparsa di Gerardo Bianco, del suo profilo politico e culturale, del profondo cordoglio in Italia e in terra d’Irpinia con cui si è voluto dare l’ultimo saluto ad una personalità di sicuro spessore umano e sociale, raccontiamo in altra parte del sito con lo Speciale di Irpinia Tv.
Per questo spazio abbiamo chiesto alla collega Emanuela Sica, “guardiese” come lui, di ricordare “Gerardo” così com’era nella vita privata.
Ne vien fuori un “ritratto” che meglio di qualsiasi dotta biografia opportunamente incornicia le qualità umane di una “eccellenza” irpina).

 

– di Emanuela Sica –

Del politico, del ministro, del docente universitario ne parleranno tutti e, com’è giusto che sia, ne tesseranno le lodi, le gesta, l’attività, la storia, le pubblicazioni. Parleranno sicuramente anche della sua personalità, eticamente e moralmente ineccepibile, profonda, attenta al prossimo, e senza macchia, un gigante senza confronto anche rispetto al “nanismo” politico dei nostri giorni.

Io invece vorrei raccontarlo da un altro punto di “vista”. Gerardo – e mi fa strano dirlo, io che ero solita usare il termine “Onorevole” ogni volta che ci incontravamo, ricevendo spesso il suo delicato rimprovero, ripetendomi di chiamarlo con il suo nome di battesimo, aggiungendo “tu devi dire così, sei la mia commarella…” – era l’amico di lunga data di nonno Raffaele, il suo “elettore numero uno” come era solito dire, richiamando il fatto che fosse, innanzitutto, il possessore del primo conto corrente (appunto il numero uno) nella Banca Popolare dell’Irpinia a Guardia Lombardi, oltrechè il capo della “carovana” (per ogni vittoria sua elettorale).

Quando lo elessero Parlamentare, per la prima volta, fu proprio nonno a mettersi alla testa della lunga fila d’auto che fece il giro del paese e dell’Irpinia, esultando per il traguardo brillantemente raggiunto ai tempi della Democrazia Cristiana. Gerardo è stato, altresì, l’ispiratore delle prime battaglie politiche di mio padre, nonché il padrino del mio battesimo (per questo mi chiamava, appunto, “commarella”).

Ora lo ricordo, con il pensiero emotivo rotto dalla tristezza, seduto davanti al fuoco di casa mia, mentre parlava di politica e mangiava fave, sale e Carmasciano. “Onorevole vi voglio preparare una cosa più buona …” diceva mia nonna quando arrivava all’improvviso (magari dopo cena) e lui rispondeva, senza scomporsi, “Marietta cara è già questa la cosa più buona del mondo, siediti pure tu davanti al fuoco, stai con noi” evidenziando altresì il profondo rispetto che aveva per le donne che, a quei tempi, non erano “degne” di essere interlocutrici politiche fosse anche soltanto per stare a sentir “parlare di politica”.

Io piccolina, allergica alle fave, lo guardavo dal dietro cucina, con timore reverenziale. Lui questo lo sapeva e, solo dopo essersi lavato le mani (chiedendo altresì di togliere “lu mundon’(e)”)di bucce per terra) faceva un cenno con la testa per darmi il via libera. Così correvo a salutarlo, ad abbracciarlo. Era sempre molto affettuoso oltre a farmi, consuetudinariamente, la fatidica domanda sul mio profitto scolastico…e questo è avvenuto sistematicamente sia che frequentassi la scuola elementare, sia il liceo che l’università. Poi, rivolto a mio nonno (che era di lacrima facile quando si parlava di me), esordiva: “Devi essere orgoglioso di tua nipote, lei non avrà mai bisogno del mio aiuto…”. Se ci penso ora, mentre a quei tempi la prendevo come una sconfitta, non posso che essergli grata e riconoscente di questo suo pensiero perché, implicitamente, voleva dare rilievo, valore autentico, alla mia persona che sarebbe, forse, un giorno emersa senza i c.d. “aiutini” politici.

Gerardo amava Guardia, legato com’era alle sue radici, alle sue pietre, alla sua terra, e non mancava mai di “fuggirsene” in paese quando poteva. Il suo percorso era quasi obbligato ed io, abitando in Piazza, lo vedevo scendere da casa con la moglie Tina, fermarsi a salutare gli amici, proseguire per la Chiesa Madre ad ascoltare la consueta messa, di domenica mattina. Come dimenticare i suoi comizi alle “feste dell’Amicizia”, a cui seguivano grandi tavolate serali con amici e sostenitori, nonché personaggi di calibro come Colombo, Rosy Bindi, Rivera (e tanti altri), seduti sotto gli stand gastronomici allestiti per l’occasione dai suoi attivisti Guardiesi. E facevamo a gara (tra di noi – ragazzi e ragazze poco più che adolescenti) a chi doveva portare i piatti preparati per l’occasione da alcune donne del paese, tra cui emergeva la capacità culinaria di Valeria Magnotta nonché di Michele Giordano (e della moglie Cumma Lina). Un team attivissimo ai fornelli capace di preparare uno spezzatino di vitello al sugo così buono che, parole di Gerardo, “faceva resuscitare i morti” o il famoso “baccalà alla pert’caregna” il cui profumo si spandeva per tutta la piazza.

Oppure i pomeriggi trascorsi a ragionare di libri e politica, seduta (quasi affondavo) sull’enorme divano di casa sua, insieme a zio Salvatore (Boniello) e Giandonato Giordano, o le tavolate piene di buon cibo imbandite per rifocillare i futuri candidati alle amministrative…o le sue interviste rilasciate a telefono, con lucidità estrema, proprietà di linguaggio, sintesi e competenza pur in presenza di gente (rumorosa) che entrava e usciva da casa sua. Mi chiedevo sempre come facesse a parlare in quel modo. Sembrava di assistere ad un lettore che, aperto un saggio, enuncia le proprie considerazioni sui più disparati argomenti (anche difficili) mettendo in fila esatta le parole senza errori, con una consecutio-temporumineccepibile, con estrema chiarezza espressiva, stile di argomentazione, visione concreta e mai astrusa delle cose del mondo. Quando parlava ad un convegno tutto il pubblico in sala veniva rapito dalla sua grande capacità d’eloquio e dal suo modo di parlare “a braccio” senza appunti e senza foglietto. Ricordo che una volta zio Salvatore mi disse: “Così può parlare solo chi possiede la vera cultura, gli altri devono leggere…”.

Allo stesso modo lo ricordo quando, dal pulpito della Chiesa, volle dare l’estremo saluto alla dipartita di mio padre o quando diede l’estremo saluto a Giandonato, con la voce rotta dall’emozione e distrutto dalla sofferenza per quel distacco innaturale (forse uno dei momenti più dolorosi nella sua vita).

Avrei tante altre cose da raccontare, aneddoti e momenti di spensieratezza, Gerardo era capace anche di far sorridere con la sua innata dote di sarcasmo “gentile”, come lo chiama il direttore Genzale. Mi fermo qui, la sua morte mi lascia attonita, severa è piombata sul paese, in questo primo dicembre così anomalo, freddo, pieno di nebbia e di memoria che non può essere rinnegata o scordata ma preservata come utile eredità per le nuove generazioni. Guardia ha perso uno dei suoi figli più cari, quello che gli ha dato maggiormente lustro.

Voglio solo immaginare che ora, passando la porta del paradiso, abbia incontrato tutti gli amici di un tempo, riabbracciato gli affetti familiari, e che magari, stasera stessa, possa assaggiare di nuovo quelle fave e Carmasciano che amava tanto davanti al fuoco luminoso e accogliente di Cristo.

Riposa in pace, “Gerardo”.

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