Scampia a vele spiegate

(F.G.) Per l’importanza che riveste e la sostanza che condividiamo appieno, collochiamo volentieri nello spazio degli Editoriali il “pezzo” di Mirella Napodano.

– di Mirella Napodano –

È appena di qualche giorno fa la notizia che, al posto di uno di quegli immensi caotici condomini a forma di vela che caratterizzavano lo skyline di Scampia, è stata inaugurata una moderna ed efficiente sede distaccata della facoltà di Medicina dell’Università ‘Federico II’ di Napoli che – non dimentichiamolo – è la più antica università pubblica del mondo. È l’annuncio di una vittoria sull’immobilismo e sulla paura nella città metropolitana dalle mille sorprese, che quando decide di risorgere dalle sue ceneri come l’Araba fenice sa stupire per la sua creatività. La sua non è più soltanto l’oleografica, banale e quotidiana arte di arrangiarsi da tempo immortalata nei romanzi e nei film e tuttora viva ed operante nei vicoli del centro storico, ma la capacità di dotarsi finalmente di una ben precisa visione politica circa la direzione da imprimere al futuro delle giovani generazioni, già tanto penalizzate dalle varie crisi climatiche, finanziarie, etiche, istituzionali, lavorative ecc. in cui si dimena ossessivamente questa nostra inverosimile e angosciosa attualità.

Ho frequentato Scampia per motivi di lavoro negli anni novanta, quando anche solo il nome di quella località era schivato e temuto al tempo stesso. E devo ammettere che mi faceva veramente un effetto straniante addentrarmi a piedi per le strade – a volte insolitamente deserte, poi a tratti brulicanti di gente – per recarmi presso l’istituto scolastico che all’epoca sperimentava (in partenariato con la direzione didattica di Montoro inferiore che allora dirigevo) le prime, pionieristiche pratiche in Italia di filosofia con i ragazzi con il metodo Philosophy for Children, ideato da Mattew Lipman, all’epoca professore di Logica presso la Montclair State University. La sperimentazione era monitorata in entrambe le scuole dalla facoltà di Scienze Relazionali dell’Università ‘Federico II’, sotto la guida illuminata della prof.ssa Elisa Frauenfelder, nota pedagogista accademica (poi passata ad insegnare all’Università ‘Suor Orsola Benincasa’) di cui ancora oggi si ricorda il nome con un prestigioso premio internazionale. La mia collega dirigente scolastica di Scampia, cui mi legava una profonda amicizia, era – manco a dirlo – ben nota nell’ambiente cittadino perché al mattino andava sistematicamente a prelevare a casa gli studenti recalcitranti, affinché frequentassero con continuità le lezioni.

Sono esempi di altissimo valore etico, che mi piace molto citare, anche perché il merito di molti dei progressi culturali e sociali che sono stati compiuti a Scampia è certamente da attribuire anche a questa ostinata, oscura e profetica volontà di vincere la battaglia dell’ignoranza e dell’esclusione sociale attraverso la scuola. E a Scampia c’è tuttora una stretta alleanza tra le scuole e le parrocchie del posto; un po’ meno con le famiglie, che non sempre sono in grado di collaborare in maniera adeguata, anche perché molti genitori sono spesso in giro per l’Italia, ristretti in vari istituti di pena per svariati reati. Insomma, il sorgere di una prestigiosa facoltà universitaria dallo squallore morale e civile di una realtà come Scampia dimostra senza alcun dubbio che è sempre possibile emanciparsi dalla violenza e dal sottosviluppo. E mi piace pensare che fra gli operatori culturali di questo cambiamento epocale ci sia anche qualcuno dei nostri filosofi in erba di allora. Si tratta di un’evidenza storica che realizza il motto vaticinato con fervore da Falcone e Borsellino: Le mafie si vincono solo con un esercito di insegnanti.

Tra i tanti ricordi di Scampia non posso dimenticare l’accoglienza che sempre mi riservava una premurosa collaboratrice scolastica, pronta già ad offrirmi la tazzina fumante del caffè mentre ancora salivo le scale dell’antico edificio in cui erano ubicate la maggior parte delle classi di scuola primaria. Se non avessi avuto modo di constatarlo di persona, avrei stentato a credere che la scuola – una volta varcato il portone – apparisse come un vero e proprio presidio sociale: una struttura a tempo pieno ordinata e efficiente tanto da evocare un collegio svizzero, ma con una marcia in più: un corpo insegnante che non guardava continuamente l’orologio aspettando la fine dell’ora, perché l’orario scolastico in presenza di situazioni di gravissima emergenza educativa era considerato un optional. Insomma, le ‘vele’ a Scampia erano (e sono ancora) tutt’altro che ammainate, come invece accade in questo lamento – filosoficamente rilevante – di George Gray tratto da ‘Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.

Molte volte ho studiato la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con le vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione, ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino, dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre alla follia
ma una vita senza senso
è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme
.

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