Il flusso rumoroso della mia città
(F.G.) Per l’importanza che riveste e la sostanza che condividiamo appieno, collochiamo volentieri nello spazio degli Editoriali il “pezzo” di Clara Spadea.
– di Clara Spadea –
Ogni mattina, appena sveglia, prima di guardare il led dell’orologio, mi piace provare ad indovinare da sola che ora è.
E in genere ci riesco, sia esaminando il grado di luce che trapela da qualche fessura della persiana, sia, soprattutto, facendo attenzione al silenzio assoluto o, al contrario, ai rumori provenienti da fuori, quindi alla quantità di traffico che si percepisce. Nelle prime ore del mattino, si sa, vi è sempre il passaggio solo di poche auto e di pochissimi mezzi pubblici che tuttavia, nel ricominciare le loro corse, mi dicono che un altro giorno è già qui e che mentre io gioco a indovinare se sono le 6 o le 7 di mattina, (e quindi se è il caso che mi alzi o non ancora!), qualcuno a quell’ora al di là delle mie persiane è già entrato nel flusso della vita, sebbene non so se vestito di entusiasmo o solo di problemi e di preoccupazioni.
Ultimamente ho un rapporto molto particolare con il tempo: mi ritrovo spesso a rincorrerlo, ad invocarlo più di ogni altra cosa, ad aspettarlo, a sentirlo scivolare su di me troppo velocemente e contro la mia volontà.
Sarà per questo forse che ultimamente sento forte il bisogno di introitare in me e di catalogare ogni cosa che mi trovo ad osservare o a vivere, ogni odore e ogni suono della mia città per cercare di comprenderne appieno il senso e, quindi, custodirlo.
Naturalmente anche io ho desiderio di entrare nel flusso vorticoso della vita, di farne parte sia pure a modo mio ogni giorno e sempre con un animo ed un vestito diverso, ora fatto di sereni colori pastello, ora di colori stanchi e inquieti; ma comunque entrarvi e cercare di riuscire a realizzare almeno una parte dei tanti progetti che quotidianamente, ma a volte invano, appena sveglia mi propongo, per calarmi così in ogni piega della mia città, per viverla per quanto possibile in sintonia con tutto e tutti, perché so che da tutti e tutto avrò da imparare comunque qualcosa.
E mi accorgo di come ogni mio giorno mi faccia incrociare tante anime e attraversare tante strade, differenti tra loro ma tutte per me diversamente dense di significato e quindi importanti allo stesso modo.
Così percorro innanzitutto e necessariamente di continuo la strada della mia professione che però, dal covid in poi, si svolge oramai lontano dalle aule del Tribunale e piuttosto nel silenzio del mio studio, rotto solo dal suono dei tasti sul mio pc. e da qualche telefonata.
Un luogo invece per me altrettanto abituale ma ben più rumoroso e colorato è il mercatino esistente proprio nei pressi del Palazzo di Giustizia, dove so di trovare ogni mattina, con le loro verdure appena colte, delle contadine di cui conosco persino nomi e abitudini, così come loro conoscono me, data la mia frequentazione quotidiana di quel luogo. E nello scegliere quel che mi serve, nel parlare con queste donne del più e del meno quando non sono troppo di corsa, mi è capitato di recente di notare le rughe profonde che ricoprono il loro viso, gli occhi duri, fatti di vento e non certo di stelle, e le mani consumate dalla terra, segni che mi parlano delle intemperie che sono costrette a vivere su di sé, la mattina presto, per raccogliere i prodotti, e nel resto della mattinata per venderli, lì, in quello spiazzo, protette solo da un ombrellone che di sicuro non le ripara né dal freddo vento invernale, né, d’estate, dall’afa pesante.
Ed è così che in quei momenti le ceste di un mercato mi ricordano il significato di parole come “sacrificio” e “rispetto” per il duro lavoro, qualunque esso sia.
Ma ultimamente poi, come chissà quanti, mi è capitato anche di dovermi recare più volte presso il locale Ospedale per sottopormi a delle analisi resesi necessarie. E nel percorrere gli infiniti corridoi che collegano i vari settori della nostra Città Ospedaliera, ho sentito risuonare i miei passi in modo troppo deciso e addirittura fastidioso in un ambiente in cui era assente ogni rumore superfluo, perché lì sì avverte forte solo il cigolio provocato dalle ruote dei lettini trasportati dalle infermiere dalle sale operatorie alle camere di competenza, o il suono della paura e dell’attesa, fatto di sguardi preoccupati e sospesi dei malati o dei loro familiari.
Si respira poca gioia in questo ambiente. Eppure c’è tanta vita qui, ci sono tante storie, quelle dolorose e sospese ben visibili negli sguardi assenti dei pazienti, e quelle dei medici e degli operatori sanitari, che seppure stanchi e oberati dal peso delle malattie che devono combattere, tuttavia a volte sanno riservare parole rassicuranti e trasmettere serenità e speranza a chi ne ha bisogno.
Insomma nelle nostre giornate, come ho detto, abbiamo modo di attraversare gli ambienti e i luoghi più disparati, ognuno con le sue caratteristiche, piacevoli e non.
Ma ciò che conta è attraversare sempre con consapevolezza ogni strada, ovunque porti , e osservare con il giusto sguardo e il dovuto rispetto il percorso degli altri, per imparare che le difficoltà e i problemi, anche se non nostri, hanno tanto da insegnarci, e che “la vita- comunque- è una lunga lezione di umiltà” per tutti (J.M. Barrie).
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