Peace keeping through music
(F.G.) Per l’importanza che riveste e la sostanza che condividiamo appieno, collochiamo volentieri nello spazio degli Editoriali il “pezzo” di Mirella Napodano
– di Mirella Napodano –
Mantenere, custodire, ma anche celebrare la pace attraverso la musica! Sì, la musica: l’unico linguaggio che non ha bisogno di traduzioni, che non produce conflitti o malintesi ma accoglie, include, rigenera le relazioni, i sentimenti, le emozioni. Ho sempre pensato che la musica fra le arti sia la più affine all’architettura, perché ti fa entrare nei suoi spazi e – ospitandoti in essi – ti circonfonde. Anche per questo ho accolto con gioia il gentile, pressante invito del maestro Alessandro Crosta a partecipare al Concerto per la Pace da lui ideato e allestito con l’Orchestra Ritmico-Sinfonica e il Coro Polifonico degli allievi del ‘laboratorio Sperimentale di Musica Attuale’ del Conservatorio ‘D. Cimarosa’ di Avellino. Quando ho letto che le musiche di Karl Jenkins – otto meravigliosi brani – erano state trascritte e arrangiate personalmente dal M° Crosta, ho subito intuito che si trattava di un progetto di creazione e divulgazione musicale che coinvolgeva intimamente tanto il Direttore d’orchestra quanto i giovanissimi musicisti e coristi in un’esperienza di etica della cittadinanza globale: quasi un grido, un’implorazione, una richiesta universale di pace. E questa atmosfera si coglieva immediatamente nell’abbigliamento del Direttore e dei musicisti, tutti rigorosamente vestiti di bianco, senza scarpe e calzati soltanto con dei pedalini. Quasi a dire: ‘Siamo qui in punta di piedi, per favore – anche voi – non fate rumore’. Il folto pubblico degli spettatori (me compresa) si era strettamente attenuto alla consegna di indossare a sua volta qualcosa di bianco per un mutuo, empatico richiamo non verbale alle intenzioni degli artisti. Peraltro, le hostess all’ingresso avevano a loro volta provveduto a fornirci di colorati gadget adesivi e a timbrarci il dorso delle mani, il viso o altro con i colori dell’arcobaleno. È forse anche così, con modalità visive e non verbali, che si crea all’istante una comunità etica di persone in ricerca della pace.
Quale modo migliore per trascorrere serenamente la sera della vigilia delle elezioni politiche italiane, che tanto ci inquietano in questo difficile momento? Appena entrata nell’Auditorium ‘Vitale’, già affollato di melomani, parenti degli studenti e spettatori curiosi, l’ansia che mi pervadeva si è dileguata e ho percepito nell’aria l’atmosfera delle grandi occasioni. Anche l’abbraccio della Direttrice del Conservatorio Maria Gabriella Della Sala è stato più affettuoso del solito; eravamo entrambe prese dall’emozione che sempre assale i capi di Istituto quando assistono ad un’importante performance degli studenti. L’arrivo di lì a poco del Presidente Achille Mottola ha presto stemperato con bonaria ironia le tensioni emotive in atto, predisponendoci ad un ascolto disteso e partecipe. La compostezza dei giovanissimi musicisti, molti dei quali appartenenti alla numerosa colonia di studenti cinesi iscritti da anni ai corsi del Cimarosa nei vari strumenti, si traduceva davanti ai nostri occhi in testimonianza vissuta di autentica fratellanza tra i popoli. Allo stesso modo, la palpabile emozione di chi – come il M° Crosta – vedeva finalmente realizzarsi un grande sogno etico-musicale multiculturale, si diffondeva come un silenzioso, dolce contagio fra noi spettatori. Sono stati questi gli ingredienti di una serata indimenticabile, immersa in una musica che era insieme sinfonica e ritmica, scandita da impeccabili percussioni e dal dialogo continuo del coro che cantava parole di fantasia. Infatti, per non privilegiare una lingua/cultura rispetto alle altre presenti nel parterre degli allievi, si è adottato un linguaggio sonoro scandito da sillabe che – cadenzate con perfezione assoluta – restituivano volta a volta l’ineffabile malia di un grido di gioia mista a dolore o di una marcia forzata verso l’ignoto. In vari momenti del concerto e soprattutto nei fortissimi ho ritrovato la sensazione di sentir vibrare la musica nel torace, come quando anni fa (da dilettante) cantavo come primo contralto i Carmina Burana nei concerti della Corale Duomo di Avellino.
La musica europea scaturisce dalla gloriosa utopia di Guittone d’Arezzo e dalle ballate dei trovatori provenzali, e già allora veniva diffusa con l’intento di affratellare le coscienze, tenendo conto di tutti quegli elementi culturali che esprimono la sintesi di un’epoca, perché la musica ‘è l’algebra dell’anima’, secondo una bellissima, ahimé dimenticata espressione di Giuseppe Mazzini. Sì, proprio lui, quello della Giovine Italia e della Giovine Europa, che era un virtuoso chitarrista, autore di uno dei primi testi Filosofia della musica (ripubblicato nel 2003 da AMI BOOKS) che affrontano il tema del rapporto tra questi due meravigliosi linguaggi della mente.
Ma torniamo al sogno di chi vuole unire il mondo attraverso la musica e ci imbattiamo in un nome famoso: Daniel Barenboim, pianista e direttore d’orchestra argentino, con cittadinanza spagnola, israeliana e palestinese, direttore dell’Opera di Stato di Berlino. Nel 1999, Daniel Barenboim e lo studioso palestinese Edward Said fondano la West- Eastern Divan Orchestra: un’orchestra che riunisce giovani musicisti provenienti da Israele, Palestina e altri paesi arabi del Medio Oriente. Lo scopo principale dell’orchestra è rendere possibile un dialogo tra culture diverse, attraverso l’esperienza del vivere e suonare insieme.
Attraverso la sua esperienza, la West-Eastern Divan Orchestra ha dimostrato che il tempo e la musica possono abbattere barriere considerate precedentemente insormontabili e che è possibile costruire dei ponti, incoraggiando le persone ad ascoltarsi vicendevolmente.
Ma vi pare mai che ragazzi che hanno suonato nella stessa orchestra possano un giorno imbracciare un fucile e spararsi addosso da due postazioni opposte? Non lo farebbero mai, perché hanno imparato a seguire lo stesso spartito, a rispettare i tempi degli altri, ad agire all’unisono e sanno fin troppo bene che il successo di un’iniziativa è sempre frutto della collaborazione e del dialogo. Non deve e non potrà mai esserci una Guerra di Piero tra musicisti.
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