ATRIPALDA – ERAVAMO TANTI AMICI AL BAR
C’eravamo davvero in molti, puntuali nel frequentare quel bar; che metteva a disposizione sedie di vimini, comode quasi come poltrone e tavoli raramente muniti di “consumazioni”, dinanzi al suo ingresso, in un piccolo spazio coperto da un “pergolato” di rampicanti.
Specialmente nel tiepido caldo di inoltrata primavera, era piacevole sentirsi “a casa” ad Atripalda, proprio sotto quel “tetto” dove noi giovani trovavamo ogni giorno occasione di ripetere incontri, rivederci e parlare di tutto; principalmente di eventi di sport da commentare, più raramente di programmi o problemi di studio e spesso di politica o di tant’altro ancora.
La vita, così, scorreva beata e con la salda sensazione o addirittura certezza che mai nulla dovesse mutare e tanto meno finire. Ormai, fuori dalle nefandezze e tragedie del cessato secondo conflitto mondiale (eravamo nei “favolosi anni sessanta”), si vagheggiava spensieratezza e voglia di realizzazione; nelle quali, dinanzi a quel bar, era a noi dolce potersi per un po’ “addormentare”, od anche distrarsi, magari guardando le persone passeggiare o indugiare nella nostra vicina piazza principale.
Eppure, lentamente, qualcosa, senza che ce ne accorgessimo, mutava, poiché alcuni di noi già cominciavano ad assentarsi al nostro appuntamento giornaliero; ma ci appariva ovvio, ritenendo infatti normale che, ogni tanto, qualcuno, avendo intanto trovato una sistemazione o un lavoro, non avesse più tempo né gradimento a rimaner seduto al bar.
Era, invero, un importante fenomeno, inconsapevolmente destinato a toccare, a poco a poco, a ciascuno di noi tutti, già assidui frequentatori di quello stesso bar; dal quale, a volta, ci giungeva, nel ricordo, persino il rumore secco delle biglie azionate col gioco nella sala del biliardo.
Inesorabilmente, la nostra “compagnia” si andava diradando sino a scomparire, sì che quelle accoglienti poltroncine di vimini cominciarono anch’esse, a restare sempre più inutilizzate, oppure occupate ma da avventori nuovi, sopravvenuti, sconosciuti; insomma non più da noi, che ormai ci eravamo scambiati tutti i nostri pensieri, ansietà, confidenze; e perciò era giunto il tempo di lasciare ad altri i nostri posti ed andar via, anche con quelli che, all’epoca, ci avevano confidato addirittura di voler cambiare tutto questo mondo, che ritenevano non andare in giusta maniera.
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