Atripalda – Le “lucciole”
Era a pochi passi accanto al Paese, sul confine con altri Comuni, una breve strada un po’ periferica e non ancora oppressa da costruzioni, scarsamente illuminata.
Aveva ai suoi lati soltanto tratti di campagna rigogliosa e profumata.
Due o più corsi d’acqua la attraversavano quasi silenziosi aumentando mistero e fantasie.
Da noi Atripaldesi, durante il giorno, non era frequentata, essendo soltanto percorsa da qualche autoveicolo.
Era bella.
Inoltre al calar della sera, in estate, qualcosa appariva come per incanto: centinaia o forse migliaia di punti luminosi intermittenti si accendevano nella vegetazione o vagavano nell’aria, offrendo uno spettacolo come di fantastiche stelline irreali.
Erano le lucciole, che vivevano (anch’esse) nelle tenebre, ma che di certo una Mente superiore aveva voluto dotare di un eccezionale impianto “personale” di luce, che vestiva a festa quel luogo fortunato.
Quale meraviglioso spettacolo potevamo ammirare portandoci opportunamente dalla piazza in quella vicina strada, da noi chiamata “a variante”!
Qualcuno ci spiegava dottamente il fenomeno, dicendo che l’insistente lampeggiare emesso da quei piccoli esseri era nientemeno, un vero richiamo amoroso da essi usato per segnalare ai propri simili la loro presenza e disponibilità all’incontro.
A noi bastava tradurlo come un “Festival dell’Amore”, così celebrato in quel singolare mondo animale, con quelle piccole luci da fiaba, per ovviare all’oscurità.
E ciò non faceva che accrescere la nostra meraviglia per tale festa della Natura e per il suo delicato modo di attuarla, tanto geniale.
Avvenne così, forse per imitazione o forse per mera coincidenza, che quella stessa strada cominciò ad essere adottata come per furtive “passeggiatine”, brevi e coraggiose, sperimentate col batticuore da giovani coppie di innamorati, ben a corto, all’epoca, di ogni altra possibile intimità ma tuttavia desiderosi di rimanere sconosciuti con l’aiuto dell’oscurità e con la sola “complicità”, un po’ galeotta, di quelle lucine volanti.
Si trattava certamente di ingenui incontri, brevi come i lampi di quelle lucciole e quasi sempre da non ripetere. Di certo severamente veniva da molti anche denigrata la frequenza in quel luogo e qualificata addirittura infamante (con l’espressone “rint ‘a via nova!”) un’eco amorosa a quella pratica, tanto naturale, di mille lucciole “vagabonde”.
Comunque, quella scena con tutti i suoi ricordi, ha fatto presto a svanire, lasciando posto al disincanto, sopravvenuto non solo perché tutto poi muta col fuggire del tempo, ma principalmente per l’amara constatazione della fine di quel tripudio luminoso (forse dovuto al successivo inquinamento o all’immancabile occupazione edilizia di quell’erba), che è stato per sempre “scacciato” da quel luogo insieme alle sue belle lucciole , emigrate per chissà dove.
Ed è avvenuto come al termine di uno spettacolo teatrale, allorché, usciti tutti gli attori dal palcoscenico, si spengono definitivamente le luci della ribalta.
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