Padiglione Monteggia: eccellenza sanitaria al Policlinico di Milano
Da sempre la Regione Lombardia è considerata un’eccellenza sanitaria grazie al supporto proveniente dalle numerose strutture private presenti sul territorio, convenzionate con il Sistema Sanitario Nazionale.
In modo particolare a Milano, tale supporto garantisce tempi di attesa più ragionevoli che altrove e consente l’accesso alle cure a pazienti provenienti da regioni meno fortunate.
Tuttavia, il rovescio della medaglia sta nel fatto che nel tempo si è diffusa la mentalità del “pubblico uguale a servizio di serie B”.
Quanti di noi scelgono una struttura privata o, potendo permetterselo, scartano a priori l’idea di essere soccorsi, ricoverati, assistiti in un ospedale pubblico.
Che la sanità pubblica abbia limiti e mancanze, soprattutto in alcune regioni d’Italia, è innegabile.
Ma oggi mi sento in dovere di dedicare questo spazio ad una realtà sanitaria milanese che rappresenta un fiore all’occhiello, un’eccellenza sulla quale accendere un riflettore affinché tutti possiate venirne a conoscenza.
Si tratta di un padiglione del Policlinico (storica struttura pubblica nel cuore della città metropolitana) che accoglie ogni giorno pazienti con serie patologie del sistema nervoso centrale e periferico e che spesso necessitano di interventi chirurgici delicatissimi.
Sto parlando del padiglione “Monteggia” che ospita il Dipartimento di Neuroscienze ed Organi di Senso e, in dettaglio, la Neurologia, la Neurochirurgia, l’Otorinolaringoiatria, la Chirurgia maxillo-facciale, l’Oculistica, la Neuroradiologia e la Neurorianimazione.
Otto sale operatorie e un reparto di radiologia d’avanguardia con strumenti polifunzionali di ultima generazione, un piano dedicato alla didattica, 9 posti letto di Terapia Intensiva e 8 posti letto riservati alla “Stroke Unit”, per garantire i primi interventi ai pazienti colpiti da ictus cerebrale.
A prescindere dagli aspetti tecnici che rassicurano il paziente, facendolo sentire nel posto giusto al momento giusto, a fare del Monteggia un reparto speciale sono le donne e gli uomini che ogni giorno ci lavorano.
A partire dal Primario, il Prof. Marco Locatelli, il quale mi ha personalmente seguita in un percorso difficile, tutti i medici, gli assistenti, i dottorandi, gli infermieri, il personale di servizio, dal primo all’ultimo, sono persone di altissimo profilo professionale, dotati di un grande spessore umano.
Al Monteggia si entra spesso in condizioni disperate, in ogni caso per situazioni molto serie e complesse ed è proprio il fattore umano ciò che sorprende sin dal primo momento.
Che si tratti di un ricovero in emergenza o di un intervento programmato, in questo reparto si viene gestiti con quel senso di calore , di empatia, di attenzione e dedizione che non possono essere sottovalutati e dati per scontati.
Durante le restrizioni del covid, i familiari non potevano assistere i loro cari ricoverati e ancora oggi ci sono limiti per l’affluenza dei parenti stretti. Ma chi occupa i letti di questa struttura non teme né solitudine né trascuratezza, da ogni punto di vista, giorno e notte.
Al Monteggia fanno sul serio: i pazienti sono innanzitutto esseri umani, non numeri.
Il Prof. Locatelli e tutti i membri del suo reparto conoscono perfettamente ogni singolo malato, la sua storia, la sua condizione, il suo stato d’animo. E lo trattano di conseguenza.
Si ha l’impressione di entrare in una vera e propria “Casa di Cura”, in un reparto nel quale tutti si tengono per mano, ti tengono per mano, si stringono e lottano per la tua vita, prima di pensare a qualsiasi altra cosa.
Perché oggi racconto del Monteggia? Perché il caso ha voluto che qualche giorno fa una cara zia sia finita in emergenza sotto i ferri dell’équipe del Prof. Locatelli e del Dr. Pruderi, i quali le hanno tempestivamente salvato la vita.
Dopo essersi ripresa in modo esemplare, anche grazie alla sua tenacia, la zia non ha potuto fare a meno di entrare nella lista dei pazienti che, una volta tornati a casa, desiderano raccontare al mondo, con gli occhi lucidi, come sono stati trattati.
Si desidera esprimere pubblicamente l’efficienza e l’umanità del Monteggia, come sto facendo io in questo momento, avendone la possibilità.
Gli occhi lucidi con i quali raccontiamo sono gli stessi di quando ci hanno informati del nostro problema, gli stessi di quando ci siamo risvegliati dall’anestesia e gli stessi di quando abbiamo salutato l’equipe, gli infermieri, gli assistenti e quella stanza che ci ha ospitato per giorni e per notti.
Siamo una lista di pazienti, un elenco di persone che ogni giorno entrano ed escono da questo ospedale con la stesse nostra percezione: quella di essere stati trattati in modo speciale.
Le donne e gli uomini del Monteggia, i medici e i loro collaboratori, ti salvano la vita e ti danno il coraggio di affrontarla. Sono sempre disponibili, disposti a tutto per farti guarire; i loro sorrisi e le loro attenzioni accompagnano i degenti senza distinzione di sesso, di età, di patologia.
La sensazione è quella di avere a che fare con persone autentiche, così come lo sono le nostre testimonianze .
Quando si torna a casa dopo un ricovero al Monteggia non si è più gli stessi. È la sofferenza, direte voi, che ti cambia e ti fa crescere. Certo, non vi è alcun dubbio, ma il messaggio che io e mia zia vogliamo trasmettervi è il seguente: guarire qualcuno non significa solo somministrare farmaci o saper utilizzare gli strumenti diagnostici e chirurgici alla perfezione .
L’eccellenza di un reparto si misura valutando il servizio offerto dall’alto delle competenze ma anche dal basso dell’umiltà e dell’empatia nei confronti di chi sta lottando con un nemico invisibile e di chi si affida senza possibilità di scelta.
Al Monteggia fanno sul serio:
se ti prendono in carico non ti garantiscono miracoli, ma ti danno la forza di lottare sempre e comunque, nella certezza di non essere mai solo.
Chi si risveglia al Monteggia non si ritrova in una stanza asettica di un ospedale qualsiasi e quando tutto è finito e i dottori decidono di mandarti a casa, hai la sensazione di aver vissuto un sogno nel quale la malattia, l’emergenza, la sofferenza si sono trasformate in una delle esperienze umane più intense della tua vita.
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