Atripalda, sere d’estate
Specialmente d’estate la piazza principale di Atripalda si illuminava di luci serali, anche dinanzi ad un bar che aveva sedie di vimini e tavolini all’aperto, sempre a disposizione (gratuita) di noi soliti frequentatori. Ed, intanto, col progredire della sera, aumentava, sull’ampio piazzale, il “passeggio” abituale di buona parte di noi atripaldesi, tacitamente soddisfatti di ritrovarci a celebrare, ancora una volta, quel rito, capace di darci un inspiegabile benessere, spesso favorito anche da una calda e delicata brezza che si avvertiva sulla pelle non coperta dai leggeri abiti estivi.
Ci sembrava essere nel salotto elegante del nostro Paese, genuino e semplice nel suo gradevole aspetto, non ancora disturbato da inopportunità edilizie, appartenente a tutti e per ognuno assai disponibile e comodo, con i suoi piccoli esercizi commerciali aperti perfino di Domenica, sino a sera inoltrata e senza oppressivi orari di chiusura, moderatamente illuminati, disponibili ed amichevoli, ubicati intorno ai bordi della grande piazza o nelle adiacenze del centro urbano, partecipi della vita della nostra stessa comunità. E poi anche i bar, piccoli o meno piccoli, semplici, mai affollati, familiari, dotati anche di qualche biliardo o di altri giochi; ma principalmente il passaggio delle persone, tutte conosciute, osservabili anche stando seduti su qualche panchina, pure esistente, oppure su immancabili sedie dislocate temporaneamente dinanzi a talune sedi di circoli associativi o politici.
Era un momento quasi magico, anche per la spensieratezza e fiducia in quella realtà, che allora scorreva tranquilla con la promessa (poi non mantenuta) di dover o poter durare, o forse anche per la garanzia regalata dalla giovinezza, creduta senza fine.
Si gioiva di qualche fugace, fortunato (e sperato) incontro, di timidi saluti o sguardi (e niente di più), bastevoli tuttavia a suscitare entusiasmi; v’erano anche piacevoli prospettive di imminenti vacanze e programmi per sognare nonché inviti non audaci e tuttavia non sempre accettati.
Certo erano soltanto sere d’estate, da non poter riavere ma neppure dimenticare.
La realtà fugge inarrestabile e tutto poi si evolve, muta (e purtroppo finisce); resta solamente il beneficio della memoria, che libera gli avvenimenti anche dagli immancabili aspetti spiacevoli, per presentarteli più belli almeno nel solo ricordare, che è un po’ anche rivivere.
Rimane, infatti, l’immagine, indelebile e gradita, del Paese in quelle serate e con quelle persone d’altro tempo e d’altra età; e più non si può ottenere.
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