Una Resistenza Made in Sud
(F.G.) Per l’importanza che riveste e la sostanza che condividiamo appieno, collochiamo volentieri nello spazio degli Editoriali il “pezzo” di Mirella Napodano
– di Mirella Napodano –
Non è passato inosservato il fatto che questo 25 aprile il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella abbia voluto celebrare la festa della Liberazione ad Acerra, città insignita della medaglia d’oro al valor civile per aver subito dal 1 al 3 ottobre 1943 – a meno di un mese di distanza dall’armistizio dell’8 settembre – una delle più feroci rappresaglie operate in Italia dall’esercito tedesco in ritirata verso il Settentrione, che provocò la morte di circa novanta persone tra la popolazione civile. Nella scelta compiuta dal Presidente della Repubblica c’è un messaggio dal fine e profondo significato etico che va riconosciuto e sottolineato. Per decenni, infatti, si è sottovalutato il contributo offerto dalle popolazioni del Sud Italia in termini di scontri sanguinosi e strenue opposizioni nella resistenza contro gli ex alleati dell’Asse Roma-Berlino. Peraltro, una delle poche vicende meridionali di quel periodo storico ad avere l’onore di comparire nei libri di storia in uso nelle scuole è quella delle Quattro giornate di Napoli: prima città d’Europa a liberarsi dalle truppe tedesche con le proprie forze, pur scontando l’altro triste (e involontario) primato di essere il capoluogo italiano più bombardato nel periodo della Resistenza.
Mentre guardo alla TV le scene della composta cerimonia che si sta svolgendo nel Palazzo baronale di Acerra, alla presenza delle massime autorità civili e militari che fanno corona a Mattarella, mi vengono in mente due carissimi amici filosofi acerrani che sarebbero stati certamente presenti in sala se da tempo non fossero passati a miglior vita: Pina Montesarchio e Aniello Montano, entrambi protagonisti insieme a me di tante iniziative laboratoriali di Filosofia della Cittadinanza nei primi anni di vita dell’Associazione AMICA SOFIA, spesso in collaborazione con il prof. Bruno Schettini e l’associazione LIBERA per la lotta contro le mafie. Anche in questa direzione è in atto sul territorio acerrano – e lo sarà sempre – una vera e propria resistenza contro i soprusi della criminalità organizzata, il degrado ambientale, l’usura e quant’altro. Il ricordo di questi due intellettuali è tuttora molto vivo nell’animo dei conterranei, mentre la profonda testimonianza culturale e morale di cui furono portatori echeggia stamattina tra l’alternarsi dei discorsi ufficiali, rimbalzando in qualche modo anche nello sguardo umido e vigile del Presidente della Repubblica. A tratti mi sembra addirittura di ascoltare le loro parole di apprezzamento sui discorsi appena pronunciati: quei loro garbati commenti sottovoce che anche stamattina non avrebbero mancato di fare…
In questo momento la sala del Palazzo baronale è un’agorà: un’assemblea assorta che dialoga e riflette. Scorrono lentamente su una lapide inquadrata dal video i nomi dei martiri che trovarono la morte tra la popolazione civile nei giorni dell’eccidio. Tra essi anche un bambino. E non fu l’unico caso; altre stragi di innocenti furono compiute dai soldati tedeschi in fuga a Capua, a Caserta e in altre zone del circondario. La furia omicida impazzava, sfogandosi contro i civili italiani inermi, ritenuti traditori. Recenti ricerche storiografiche, di cui dà notizia nel corso della trasmissione una giovane studiosa di Storia della Resistenza, attestano con narrazioni orali – confermate da documenti inoppugnabili – la gravità e la frequenza sul territorio campano di uccisioni e atti vandalici. Una realtà molto contrastante con quella definizione attendista che è passata per buona in certe frettolose e approssimative analisi storiografiche. Al contrario, è stata dimostrata con dati di fatto la strategia tedesca di fare letteralmente terra bruciata dei fertili campi presenti in terra di lavoro, mentre inermi contadini tentavano di opporsi difendendo come potevano case, persone, animali domestici, piantagioni, prodotti stoccati (farina, salumi, formaggi, ecc.) attrezzi agricoli, mezzi di trasporto e quant’altro, dalle razzie incontrollate dei tedeschi a loro volta incattiviti dalla fame e dalla disperazione. Non furono pochi in Campania gli atti di eroismo di chi nascose nelle stalle e negli anfratti dei propri casolari soldati in fuga, ebrei, persone di passaggio che speravano di sfuggire alle logiche perverse della guerra. Niente di diverso da quello che sta succedendo proprio in questi momenti in terra d’Ucraina, per l’illusoria, menzognera, insaziabile brama di potenza di un dittatore.
Acerra, come del resto Avellino che a sua volta fu insignita di medaglia d’oro al valor civile per i disastrosi bombardamenti del 14 e 16 settembre 1943, erano comunità di destino, rese tali da quel diffuso senso di solidarietà, da quella generale empatia solidale che vige tra persone semplici, che vivono dei prodotti della terra rispettandone le leggi e i ritmi di sviluppo. Alle tattiche devastanti dei tedeschi in fuga, i campani provarono ad opporre una resistenza ordinaria che era soprattutto difesa della vita dei figli e delle loro donne esposte a violenze di ogni genere. Quando le vicende della guerra ebbero finalmente il sopravvento sulla propaganda militare di regime, furono in tanti ad abbandonare la divisa dell’esercito per darsi anima e corpo alla Resistenza, come fece lo storico Gabriele de Rosa che passò nelle fila dei partigiani subito dopo la sconfitta di El Alhamein, cui aveva partecipato come ufficiale dei Granatieri. Peraltro, vanno considerati partigiani in senso lato tutti i combattenti per la libertà propria e altrui, come quelli che favorirono prigionieri di guerra evasi o ricercati politici; gli autori e diffusori di volantini per divulgare le notizie; i sacerdoti che non vollero abbandonare i fedeli al loro destino e tanti altri.
Certamente, nel Meridione la fuga dell’esercito tedesco in ritirata fu più veloce di quanto non avvenne nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale, ma non per questo determinò situazioni ed eventi meno intensi e partecipati, perché la resistenza contro i regimi dittatoriali e violenti è sempre lotta contro il male assoluto. Furono proprio tutti i partigiani di ogni sorta e provenienza, con il loro immane sacrificio, a consentire ad Alcide de Gasperi di presentarsi a testa alta ai lavori della Conferenza di Parigi, tenutasi dal 29 luglio al 15 ottobre 1946, che condusse finalmente ai Trattati di Pace siglati il 10 febbraio 1947.
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