De Luca fa bene a licenziare i “furbetti”. Ma tutti
L’Irpinia è tra le province italiane con il più alto numero di “disoccupati”, oltre ad essere anche tra quelle con il Pil più basso, ed accade che qui ci siano non pochi “occupati” del pubblico impiego – non di rado frutti ed espressioni del più bieco clientelismo politico – che si consentono il lusso, non una ma ripetute volte, quasi fosse un “diritto” sancito in cima alle clausole contrattuali, di timbrare il cartellino della presenza in servizio e di allontanarsene sistematicamente e a proprio piacimento, non già perché comandati in missione esterna, come pure qualcuno ha tentato di far passare, ma per andare a fare shopping piuttosto che ginnastica o un secondo lavoro, magari e perfino una scappatella dall’amante: insomma, per andarsene a fare ciascuno i c… suoi, così scaricando di fatto sulle colleghe/i l’onere di colmare i vuoti di produttività causati dalla propria gioiosa evasione dai compiti per i quali si viene puntualmente pagati ogni santo mese che Nostro Signore, con puntuale generosità, concede loro.
Chiariamo subito che i furbetti del cartellino non sono una categoria dello spirito – in vernacolo napoletano “cazzimma”! – esclusiva dell’Irpinia. Ce ne sono ovunque in Italia e non solo. Probabilmente in misura maggiore al Sud della Penisola. Sicché, se assumiamo il riferimento demografico quale parametro più o meno oggettivo, di iscritti al club dei cazzimmisti ne troviamo in maggior numero a Napoli e, via via declinando, a Salerno e a Caserta.
Tanto premesso, il fatto (quasi) fresco di giornata è che il governatore della Campania – come hanno raccontato le cronache di questo week end – nel suo Venerdì ha annunciato il licenziamento immediato dei primi venti dipendenti del Genio Civile di Avellino in odore di cazzimma.
La prima domanda che nasce spontanea è la seguente: può De Luca licenziare questi lavoratori quando a loro carico c’è in corso un procedimento giudiziario ancora allo stato di richiesta di rinvio a giudizio?
La risposta – secondo gli esperti della materia – è Sì. Perché il provvedimento annunciato dal governatore discende dalle conclusioni di una indagine amministrativa interna. La quale, sorretta da un’ampia documentazione, ha accertato per quei venti dipendenti la sussistenza di motivi sufficienti per applicare la sanzione disciplinare del licenziamento. Insomma, il profilo penale, la cui competenza è naturalmente della magistratura ordinaria, non c’entra niente. De Luca poteva farlo e lo ha fatto. Allo stesso modo, quelle venti persone potranno ricorrere al Tribunale amministrativo e con ogni probabilità vi ricorreranno, chiaramente a rischio e pericolo di rimetterci le spese oltre alle “penne”.
La seconda domanda è: ha fatto bene De Luca ad assumere un provvedimento così rigoroso che di fatto manda sul lastrico venti lavoratori, un numero che secondo quanto annunciato dallo stesso presidente della Campania potrà aumentare fino a cinquanta quando sarà completata l’istruttoria interna su altri trenta dipendenti?
Spiace sul piano umano doverlo ammettere, ma la risposta è un altro Sì.
La risposta è Sì – a condizione, va da sé, che la commissione disciplinare dimostri “per alligata et probata” la condotta sanzionabile di ogni singolo lavoratore – per le ragioni richiamate sopra. Qui, in buona sostanza, siamo di fronte a casi di dipendenti che, non una tantum, ma assai spesso e volentieri hanno percepito fraudolentemente una quantità certificata e niente affatto marginale di ore di lavoro non prestato, senza contare il danno – sia sul piano etico che materiale – fatto agli altri dipendenti che hanno mantenuto e mantengono un comportamento in linea con le norme contrattuali.
E siamo di fronte a “occupati” che evidentemente hanno perso cognizione del privilegio di cui godono rispetto all’esercito di disoccupati “di stanza” perenne in una provincia nella quale tanti, troppi cittadini hanno perfino smesso di sperare in un posto di lavoro anche precario.
Piuttosto, c’è un dettaglio non da poco che non quadra nel provvedimento annunciato da De Luca: perché la scure sui dipendenti del Genio Civile sì e su quelli della Sanità no? Cosa hanno di speciale, diremmo di intoccabile, i furbetti della Sanità irpina, molti dei quali peraltro già riconosciuti tali in primo grado dalla magistratura ordinaria?
Così come non quadra, a meno che non ci siamo persi la notizia, il fatto che non ci siano licenziamenti di furbetti del cartellino in altre province della Campania. A Napoli, a Salerno, a Caserta, a Benevento, tutti i dipendenti delle aziende regionali sono meritevoli del titolo di Cavaliere del Lavoro? Con il massimo rispetto per le autorità politiche e giudiziarie, ci pare un tantino improbabile.
Sulla materia, del resto, appaiono alquanto distratte anche le organizzazioni sindacali. Difendere i diritti dei lavoratori non significa soltanto stare allerta per non consentire abusi e soprusi dei “padroni”, sia del settore privato che di quello pubblico. Significa anche far valere il buon diritto di chi rispetta le regole nei confronti di chi – facendo il furbetto – carica sulle spalle dei colleghi il peso della propria fannullaggine. Cgil, Cisl, Uil, Ugl e sigle e siglette, ad esse connesse o sconnesse, sul tema semplicemente tacciono. Sono assai loquaci – invece e ad esempio in materia sanitaria – quando, come nel recentissimo caso di Avellino, si arrogano la pretesa quasi di ordinare al presidente della Regione quale direttore generale deve essere sostituito, senza addurre un motivo preventivamente sottoposto all’esame della “Ragione”, giusto a dimostrazione che si parla e straparla soltanto per testimoniare a se stessi di esistere. È la riprova – ahinoi! – che in Irpinia e in Campania non accusiamo un deficit di classe dirigente soltanto in ambito politico-istituzionale. Ma in un campo più largo. Molto più largo.
P.S.: Ci pare opportuno segnalare al rigore istituzionale del presidente De Luca la presenza, decisamente più diffusa e più dannosa dei furbetti del cartellino, di un’altra categoria dello spirito, soprattutto nelle aziende sanitarie locali. Una categoria dello spirito che potremmo definire della “Cazzità” (copyright della Buonanima di Benedetto Croce) anche per distinguerla da quella della “Cazzimma”, che è ben altra cosa.
I profeti della “Cazzità” sono quei dirigenti e collaboratori delle Asl che per Stupidità (letteralmente intesa) sbrigano le pratiche muovendo un foglio al mese, ovvero lasciando ammuffire decisioni che andrebbero evase in tempi brucianti, e il cui ritardo comporta invece conseguenze deleterie soprattutto a danno dei pazienti. Perché si comportano così? Presto detto: un pochino ma proprio un pochino per timore di incorrere nell’ira funesta della Corte dei Conti, ancora un pochino per vocazione all’ozio, ma tutto il resto, ossia per la quasi totalità dei motivi, perché – appunto – sono affetti da Cazzità. Gli effetti della Cazzità, oltre che per i pazienti, sono disastrosi per le aziende che operano nel settore, così come gli addetti ai lavori e i loro rappresentanti di categoria lamentano da anni ma purtroppo gridando nel deserto.
Non esiste – è una domanda niente affatto retorica – la sanzione disciplinare del licenziamento per Stupidità? Per dirla con Totò, dobbiamo per forza “vedere questi Stupidi dove vogliono arrivare?”.
Forza, Governatore: facci sentire un colpo!
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