Abbi cura di te delle tue labbra
Poesia scelta: Abbi cura di te delle tue labbra
Autore: Andrea Burato
Abbi cura di te delle tue labbra
della tua poesia e delle invettive
abbi cura di noi e dei nostri
ricordi sbiaditi di un tempo finito
non esiste alcunché
di immutabile tutto cambia
un’infinita costante certezza
Dove sei adesso con chi ti batti
non importa non importa più
hai seminato tempesta e noi
raccogliamo il vento impetuoso
delle tue parole di fuoco
Passione amore disperazione
Lasciarsi è una morte nelle vene
una limpida dolce nuova rinascita
A cura di Emanuela Sica
Si liquefa sulle labbra l’assenza fatale di un’anima che è partita per il suo viaggio infinito, al di là del mondo reale e della materia, verso luoghi che non sono più importanti per chi resta quando fondamentali per chi quel movimento “verso” oppure “oltre” lo intraprende. E allora la poesia prende slancio e parte dalle parole, dalle costruzioni che queste riescono a fare, muovendo l’incipit dalla bocca, per giungere poeticamente a chi resta a fissare la sedia vuota, il telefono spento, la voce inesistente eppure che urla ancora nel cuore e nei pensieri, come ugualmente riempie i ricordi e rimescola le dimensioni tra essere e non essere più.
La cura della memoria, della presenza che mai più riesce a concretizzarsi nel corpo oramai spinto sotto traccia e nella terra fredda, è probabilmente, per l’autore, l’unica cosa che può permettere di rielaborare il lutto, che definisce l’indefinibile della dipartita, che ci fa comprendere come ogni cosa sia destinata a mutare, a terminare, a evolversi in altro, in aria o immateriale consistenza che si attacca al bene provato e ricambiato in vita, agli insegnamenti lasciati, alle vie indicate, alle invettive prese e mai restituite. È questa la certezza della morte che arriva, comunque, a segnare la vita di ogni essere umano, nella duplice veste di fine corporale e rinascita eterna. La lirica si muove nel solco della domanda a cui non serve dare risposta, il locus in cui si trova chi “non è più” definisce la resa all’inesorabile chiusura della fine, anche se il percorso sulla terra è stato infuocato dalle “parole” che ancora germogliano nei pensieri del poeta, come “vento impetuoso”, “passione”, “amore” e “disperazione”.
Si comprende dall’uso fatto del termine “parole”, in aderenza a “poesia” che lo sguardo emozionale dell’autore sia del tutto incentrato su una determinata “figura” caparbiamente “presente anche in sua assenza”.
Mi riferisco a quella del maestro Armando Saveriano, come lo stesso Burato mi conferma: “La poesia si rivolge a chi non c’è più, in questo caso si mescolano il ricordo dei tratti salienti di Armando Saveriano che però sono allo stesso modo validi per altre situazioni andate, con una conclusione unica che accomuna molteplici scomparse”
In questa prospettiva dimensionale della memoria emozionale, di quella che, per intenderci, riannoda i fili di ciò che è stata la nostra vita in relazione a questa o quella persona, fuoriesce un’intima consapevolezza: quello che la morte ci toglie sulla terra è pronto a nidificare, riemergendo dal buio, nella luce e nella rinascita eterna.
Tale “credenza” o “fede” nell’aldilà, in qualche modo, cura la ferita sentimentale di chi rimane. È balsamo salvifico per ridurre la portata del dolore. Per sciogliere, almeno in parte, il grumo solido della sofferenza di chi resta a piangere la scomparsa di una persona cara. Persona che non necessariamente deve qualificare la sua venuta nel mondo tramite legami di sangue o discendenza con la nostra vita. A volte da “sconosciuti” soggetti si riesce a ricevere più attenzione, più cura, più amore e dedizione di quello che si è ricevuto o si riceve da persone legate (a noi) da vincoli di parentela. La necessaria ripartenza di chi sembra aver concluso il percorso dei passi sul terreno del mondo si smaterializza per diventare “altro” nell’infinita dimensione extra terrena, dove ogni cosa sembra assumere connotati diversi che, pur se non si conoscono appieno, lasciano ben sperare che siano migliori di quelli lasciati nel corpo mortale magari travolto da patologie, disagi, momenti no, pugnalate del fato avverso, calunnie della miserabile sorte come forse avrebbe detto Saveriano stesso. Rimane inalterata, nella mente e nel cuore del poeta, altresì nella traccia stilistica della poesia, l’orma di Armando, com’è avvenuto anche per altri poeti, il segno della “punteggiatura assente” che, in maniera immediata, esprime la consapevolezza di aver seminato un modus di fare poesia anche in chi scrive e traccia ancora solchi nel suo percorso, in quello del “maestro”.
La poesia si srotola nel gomitolo pieno del cambiamento dove l’immutabilità non è affatto concepita e il mutamento che si determina nel corso dell’esistenza è un dono e un danno insieme perché pone le basi dell’incerto futuro sugli architravi del passato, consapevole che il presente sia ancora tutto da vivere e scrivere. Ed allora se ogni cosa è soggetta a modificarsi, a non essere più come prima, cos’è la “cura” del dopo di noi? Come può qualcosa che non è più vivente in un corpo, in una mente, in una lingua, avere cura delle labbra e della poesia? La risposta alla domanda potrebbe avere infiniti risvolti, come ampie sono le possibili alternative. Io ne dico una. Quella richiesta di attenzione sembra una preghiera che il poeta fa in direzione dell’aldilà ma che, magicamente, avrebbe o potrebbe avere effetti benefici anche sulla sua vita. Se si ipotizza una “vita” oltre la nostra…anche chi abbiamo amato, stimato, seguito potrebbe essere per noi fonte di ispirazione e quasi un “angelo custode” dei nostri movimenti sia materiali (passi) sia immateriali (pensieri e parole). Anche se la parola angelo non viene mai pronunciata in alcuno dei versi poetici la sua presenza appare estensibile a tutto il componimento. C’è una sorta di magia e aspirazione alla dimensione astrale che coinvolge l’emotività del poeta ed anche quella del lettore che, indipendentemente dal soggetto a cui si rivolge, può trovare ispirazione e stimolo per le proprie mancanze.
Si potrebbe considerare quasi un testamento poetico la “parola di fuoco” seminata in vita da Saveriano. Probabilmente lo è, molti di noi sono stati nominati in quel lascito così ampio, così florido, ancora vitale forse immortale. Altri semplicemente toccati di sbieco, altri ignorati totalmente. Quello che qui, però emerge è il dono ricevuto da Burato che ancora arde nelle sue vene e gli permette di arginare, in qualche modo, l’agonia della sua ingiusta e inconcepibile assenza.
Andrea Burato nasce 45 anni fa in provincia di Verona. Nel 2017 trova in internet il luogo ideale per pubblicare le sue prime liriche: approda così nel gruppo poetico “Versipelle” del quale fa parte dal 2018. Nel 2019 arriva secondo al concorso nazionale “Voci di Roma 2019” e alcune sue liriche sono state pubblicate nell’antologia “Nel corpo della voce” curata da Elena Deserventi – Controluna.
I commenti sono chiusi.