BARZIO, IL BIBLIOTECARIO, IL SILENZIO
Sono passate da poco le ore 13 di un giorno qualsiasi, uno di quelli rimasti orfani da appuntamenti, scadenze, incontri, ricorrenze, all’interno della mia agenda. Decido di fare un salto a Barzio, un borgo della Valsassina, in provincia di Lecco, situato a circa 800 metri di altitudine e dal quale si raggiungono in pochi minuti i Piani di Bobbio, nota località sciistica molto cara ai milanesi.
Da Barzio “quel ramo del lago di Como” non si intravede, ma in linea d’aria è così vicino, che a volte sembra di sentirne la brezza. Una brezza più tiepida che si fonde con le fredde folate di vento provenienti dalle cime montuose sovrastanti la valle e l’altopiano.
Questo comune di circa 1.300 abitanti ospita alcuni edifici storici di grande fascino e di interesse culturale, come il Museo Medardo Rosso, dedicato al noto scultore del XX secolo, e il e Palazzo Manzoni, un edificio tardo seicentesco appartenuto ad un ramo della famiglia Manzoni e divenuto nel 1982 sede del Municipio e della Biblioteca Comunale. Nel 1930 è stato dichiarato Monumento Nazionale. La storia che esso racchiude si respira ovunque: nei giardini, nelle stanze affrescate e decorate durante le diverse epoche, nelle statue e nelle sculture presenti.
Avevo visitato la biblioteca di Barzio qualche anno fa in occasione di uno dei miei tanti soggiorni invernali ed estivi e non ho mai dimenticato l’impatto con questo piccolo gioiello per appassionati di testi legati allo scrittore lombardo. Per raggiungere i suoi locali, situati all’ultimo piano del palazzo, si oltrepassano un imponente portale settecentesco in pietra e un cortile interno nel quale il silenzio prevale su ogni cosa.
Barzio è un luogo nel quale si respira aria di piccole cose che spengono motori, pensieri scomodi e ingombranti. Chi ci arriva per la prima volta, può provare un senso di sospensione molto particolare. Un adulto può sentirsi avvolto da un’atmosfera che rimanda all’infanzia, i bimbi possono scoprirsi fanciulli d’altri tempi, attratti da quei giochi semplici, dalle corse tra la piazza e le stradine, simili a quelle che facevano da piccoli i loro nonni e i loro genitori. A Barzio si ha la sensazione che le famiglie si ritrovino in una sorta di luogo magico, dove il tempo si dilata in un ambiente autentico per lasciare spazio alla libertà, alla spensieratezza, al benessere semplice.
Questo stato di benessere intenso l’ho provato nelle stanze della biblioteca fin dalla mia prima visita. Ad accogliermi la prima volta, fu un uomo del quale non ricordo il nome. Ma ricordo che nei suoi occhi si leggeva la passione per quel luogo, per la responsabilità nei confronti di un patrimonio appartenente a tutti, ma visitato da pochi. Quando entrai, lui era solo, in silenzio e nel silenzio, orgoglioso di aspettare coloro che, a volte anche solo per sbaglio, raggiungevano l’ultimo piano dell’edificio trovandosi di fronte a scaffali pieni di libri e di pagine vecchie e nuove dal profumo inconfondibile.
Le uniche parole che mi rivolse furono: “Desidera iscriversi? Bisognerebbe fare la tessera”. E aggiunse “La prego di spegnere il cellulare, se lo possiede. Se vuole le faccio visitare le sale, ma le consiglio di cimentarsi da sola, di scoprire tutto da sé. Lo faccia in silenzio. Se poi ha bisogno, io sono qui”.
Mentre lui parlava, non potevo trattenermi dal guardarmi intorno e godere del fascino di quei muri antichi, delle finestre d’epoca e di quel silenzio che quasi non riuscivo a sopportare per quanto fosse maledettamente in armonia con tutto ciò che mi circondava. Scrutai scaffali, mensole, tavoli stracolmi di testi storici straordinari. E non solo: libri di architettura, pittura, narrativa, poesia, immagini e sculture raffiguranti Medardo Rosso e Manzoni.
“Una biblioteca è una biblioteca” direbbe qualcuno. Ma la biblioteca di Barzio e quell’uomo seduto su una sedia a rotelle che mi invitò al silenzio non furono per me né una biblioteca qualsiasi né un uomo qualsiasi. In quell’invito al silenzio c’era qualcosa che andava oltre il rispetto per il luogo dedito allo studio e alla lettura: c’era l’esortazione a comprenderlo, ad assaporarlo, ad apprezzarlo per la sua potenza.
Già, il silenzio non è un concetto banale o la retorica di chi vuole fare l’anticonformista a tutti i costi. Il silenzio è una medicina che non si mastica e non si deglutisce e nemmeno si respira. È un rimedio impalpabile che accompagna, rafforza, guarisce, spegne, amplifica . È come se quell’uomo avesse voluto dirmi che il silenzio è un elemento vitale essenziale per entrare in contatto con il tutto.
Quell’uomo della biblioteca di Barzio, che oggi non ho più ritrovato, mi parlò del silenzio stando in silenzio, mi fece sintonizzare con il significato più profondo di questa parola tramite uno sguardo. L’importanza di rimanere in silenzio, l’isolarsi dal “frastuono” della vita, delle opinioni altrui, delle vite altrui, delle parole sprecate, non deve mettere paura. Il silenzio può intimorire, può innervosire, può recare disagio, essere scambiato per oblio, per mancanza, ma non è sempre così. Vale la pena considerarlo come un alleato, un amico del nostro spirito, un atto di coraggio per scoprirci e per scoprire, per comprendere e per essere compresi.
Ci sarebbero tante cose da dire sul silenzio, quello degli istanti, quello eterno, quello dell’anima.
Oggi, a distanza di anni, ricordo il bibliotecario di Barzio come una delle persone più potenti che abbia mai incontrato. Rifletto spesso sul senso del silenzio e, tra le tante immagini, penso a lui e a mio padre, che ne è un convinto sostenitore e conoscitore, un integralista praticante.
A questo punto vi lascerei al vostro. Concedetevelo, non abbiate paura, il silenzio è un riequilibrante naturale. Non sottrarrete nulla a voi stessi, non toglierete nulla a chi sta intorno a voi, anzi, potreste anche regalare qualche piacevole sorpresa.
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