Via Padova 39
Vorrei provare a scattare un’istantanea che, attraverso le mie parole, riesca a illuminare le menti, i cuori e le anime di chi ama Milano.
Milano è la mamma d’Italia, una mamma illuminata, contemporanea, la mamma che accoglie, che insegna a cogliere le opportunità, che impone il rispetto il senso del dovere, affinché si tramutino in produttività, azione, dignità.
Milano fa la mamma da sempre e da sempre è una mamma al passo con i tempi, attraente e attrattiva, sobria, concreta, miracolosa. Di miracoli qui ne sono avvenuti tanti, a cominciare da quello cinematografico di Vittorio De Sica. “Miracolo a Milano” è un capolavoro di film neorealista, allo stesso tempo surrealista e fantastico, che ha ispirato anche Gabriel García Marquez nella creazione del suo genere letterario e della sua opera più famosa “Cent’anni di solitudine”.
Ripensando a quella Milano dei miracoli e avendo necessità di camminare sulle mie gambe per diversi chilometri al giorno, decido di percorrere a piedi un tragitto che non facevo da anni. Si tratta di Via Padova, famosa arteria della zona est di Milano, nota al grande pubblico per episodi di cronaca nera e di “dis-integrazione” piuttosto risonanti.
Al tempo del Covid, questa lunga strada trafficata che collega Piazzale Loreto all’estrema periferia est e a Cologno Monzese, si è completamente trasformata. È semi deserta, priva di vita. I negozi, gli alimentari, i bar e i bazaar multietnici sono completamente vuoti. La mascherina mi protegge dall’odore di degrado e la desolazione dei miei occhi è quella dell’anima.
Cammino a passo sostenuto perché non mi sento sicura nemmeno in pieno giorno, sono mal vestita e incappucciata come tutti coloro che incontro. Anziani soli, senza nemmeno un cane che li accompagna, donne africane e medio orientali con eserciti di bimbi in fasce, “Glovo” drivers che quasi si schiantano in bicicletta per riuscire a portare a termine più consegne possibili, adolescenti in fuga dalle mura scolastiche, bande di bulli allo sbando totale.
Il marciapiede è così sporco che devo fare lo slalom per evitare di imbattermi in escrementi non sempre di origine animale. Scusatemi per il dettaglio, ma la fotografia istantanea riporta la realtà cruda.
Le vetrine sono quasi tutte piene di cartelli che annunciano chiusura o “fuori tutto” ma, ciononostante, non entra nessuno.
Prima della pandemia il degrado era già più che presente, ma Via Padova era in fermento commerciale come un souk o una medina e noi sembravamo turisti per caso. Gli episodi di violenza sono stati intensi e frequenti fino a quando, grazie anche ai media, qualcuno ha fatto qualcosa per combatterli e per ridurli, ma adesso la situazione si è fatta decisamente più pesante. Le attività chiudono o sono già chiuse, l’economia non gira, i servizi sociali sono allo stremo.
Cammino, osservo le poche persone che incontro, incrocio i loro sguardi e realizzo di essere nel quartiere del “muro invisibile”. Uno dei tanti muri virtuali di questa città, che tutti decantiamo come esempio glorioso, e che separano il benessere dalla indigenza. Il muro invisibile è una circonvallazione invisibile, una linea di confine che, da nord a sud e da est a ovest, separa le categorie e le classi sociali di una metropoli ingrata. Sì, ingrata. Perché? Perché in questi quartieri semi periferici, abbandonati all’indecenza e alla mancanza di decoro, oltre ai tanti cittadini extracomunitari, più o meno regolari, più o meno apprezzati o disprezzati, utili o inutili, ci viviamo anche noi. Ci vivono i nostri genitori, i nostri nonni e tutti coloro che hanno partecipato alla costruzione e alla reputazione di questo capoluogo.
In queste aree, nelle quali la contaminazione sociale e razziale esiste da decenni, oggi i miracoli non avvengono più. Ma proprio per questo non possiamo far finta di niente, lasciare al caso le dinamiche dell’integrazione, lasciar morire l’economia e seppellire le persone nella depressione. Questi quartieri dovrebbero rappresentate l’orgoglio di “mamma Milano” e della sua internazionalità e invece stanno diventando qualcosa di simile all’inferno. A cosa serve una città metropolitana patinata “per spot” se la sua linfa vitale non arriva più alle periferie?
Ehi, voi! Ci siamo anche noi! Milano è anche al di là del muro invisibile. Non chiediamo miracoli, ma sforzi, impegno, riflettori accesi sulla nostra dignità e abbattimento del muro.
Siamo umani, dunque insoddisfatti. E allora troviamo il modo per combattere l’insoddisfazione che spesso si associa alla noia, al “troppo” alla pigrizia. Sfidiamo noi stessi, invertiamo le regole, trasgrediamo, sovvertiamo la realtà e stupiamoci di ciò che possiamo fare per eliminare squilibri e differenze.
Sono arrivata al numero 39 di Via Padova e qui si apre un varco. Le cose vanno un po’ meglio, la strada è più pulita, i negozi più sono più decorosi e frequentati, la gente è attiva e qualcuno sorride. A pochi passi scorgo Piazzale Loreto.
Iniziamo da qui, da Via Padova 39, abbattiamo il muro, superiamolo e, una volta per tutte, andiamo fino in fondo alla via.
Grazie Franco.
Da Milano, scusate lo sfogo.
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