L’amore per un uomo (Federico Preziosi)

Titolo poesia: L’amore per un uomo
Poeta: Federico Preziosi


 

Il mare non ripete tutto quanto

e non presume un’illusione a riva,

soltanto i piedi di chi guarda bagna

come gli umori lavano le labbra.

Ci si prepara a dire del silenzio

con uno scroscio afono del senso:

forse è questo l’amore per un uomo

un movimento informe che richiama

un abbandono a un suono, una risacca.

 


Il mare – nella sua eclettica grandezza, bellezza è anche mistero, abisso, pericolo, dove respiro e apnea si combinano, combaciano, si sovrappongono e contrappongono – è l’elemento naturale da cui parte il poeta per dare corpo e dimensione a quelle strutture impalpabili che, con la stessa melodiosa iconografia della marea, in perenne movimento, emergono dall’animo umano per costruire la propria impalcatura emotiva, sensoriale, percettiva, sentimentale. Una “sovrapposizione soffusa di immagini che alludono alla forza sentimentale e sensuale dell’amore”. Preziosi utilizza il verbo, il linguaggio, la sintassi, le pause, per dipingere una salvifica eppur conturbante scenografia che materializza, senza particolari remore, la forza “ineluttabile eppure inspiegabile, forse addirittura incomprensibile dell’amore.” Di quel “sentimento” che Blaise Pascal chiamava “sentire del cuore” una vera e propria facoltà conoscitiva distinta e in un certo modo superiore sia alla semplice percezione sensibile che alla razionalità e che permette di cogliere intuitivamente cosa siano il tempo, lo spazio, il movimento, il numero cioè le basi stesse dell’attività razionale e logica-matematica [c’è un “ordre du coeur (ordine del cuore) e una logique du coeur (logica del cuore)]”. Ed è per questo che “noi conosciamo la verità non soltanto con la ragione ma anche con il cuore […] Anche il cuore ha un suo ordine” stratificato d’umanità e perdizione, di santi e demoni, che tutto edifica, cambia e, addirittura, distrugge.

Nella metafora marina l’afflato amorevole si riannoda alla capacità del gigante d’acqua di prendere e, spesso, non riportare a riva le cose che vi si immergono, che semplicemente ci cadono o che volontariamente si lasciano andare. Eppure, è altrettanto vero che, una volta stabilito il contatto con quella carezza liquida, niente e nessuno sarà più lo stesso. In quella distesa di vitali moltitudini, preziosi coralli, abbracciati dalla pelle d’acqua, che tanto allude anche agli umori dell’amore, stillanti sapidità, il lessico del silenzio ci offre in dono messaggi cangianti a seconda dell’anima che l’osserva. Davanti al mare (all’amore) siamo tutti diversi e percepiamo parole, emozioni, suoni, sensazioni non mutuabili con nessun altro. Non c’è un libretto delle istruzioni, nessuna indicazioni sul “dover sentire”, libertà e immaginazione la fanno da padrone. Così avvicinarsi al mare, all’amore, ci mette in una prospettiva sempre diversa, differente, ognuna figlia di un vissuto, di una storia. In quella crasi liquida di sabbia e spuma, lucida e cangiante, sottomessa alle stagioni e alle burrasche, tuttavia pienamente padrona della propria essenza, l’uomo o la donna si tuffano coraggiosamente per aprire bauli nascosti di tesori perduti che si innestano nei participi dei sensi. In quella consapevolezza la mossa, ardua e affascinante insieme, del poeta è lasciarsi andare alle divagazioni e percezioni più sensuali, anche viscerali, legate e strette alle onde che s’infrangono. Da quel suono di stacco e violenza, che rifugge dalla stasi della quiete, si eleva il senso e il sesso insieme per parlare, spesso, la stessa e unica lingua. La poesia stavolta suona le corde più autentiche, col plettro della fantasia, e si candida ad essere udita soltanto da chi ama. Come il movimento che genera la risacca, da cui si può trarre un allarme per la propria esistenza, sino all’andare verso la battigia e lasciarvi solleticare dalla docile e sinuosa marea, alta o bassa che sia non importa, il mare tocca e prende e muta chi a quella dimensione s’avvicina, s’immerge. Nell’eterogeneità dei suoi elementi, il mare, come l’amore, contiene in sé vita e morte, come liquido generativo dell’esistenza e anche come liquido amniotico, da cui si “prende vita” e anche “cura” di ciò che verrà al mondo. Eppure l’amore, come il “pelago”, contiene al suo interno una vastità di declinazioni per cui sarebbe praticamente assurdo, se non impossibile, volerlo ricondurre a una semplice unità. Basta dire che i Greci ne conoscevano ben 12 forme. Partiamo da quello più conosciuto, ossia Eros, Dio greco della fertilità, che rappresenta l’amore passionale, carnale, irrazionale, anche pericoloso, che può trascinare chi lo prova anche alla follia. A seguire la Philia che è un’amicizia profonda, in cui vi è affetto, lealtà e fiducia nella triade essenziale della reciprocità. Agape è, invece, il più potente, incondizionato, anche non ricambiato, ben al di là delle forze umane, dei confini, delle dimensioni, è un amore puro, senza alcuna aspettativa. Storge, invece, è l’amore nei confronti della famiglia o dei parenti [amare teneramente]. Philautia rappresenta l’amore nei confronti di se stessi [nell’Etica Nicomachea Aristotele ne parla come un egoismo positivo che parte da un rapporto che si ha con se stessi ma che porta anche gli altri a desiderare il meglio nei propri confronti]. Amore come impegno è Pragma, ossia dare amore senza necessariamente essere ricambiato. Mania, per contro, è il desiderio incondizionato di amare, possedere, un amore che oggi definiremmo tossico poiché si considera il partner come un oggetto della proprietà e vitale. L’amore idilliaco è Charis e contiene in sé la gioia fisica unita a quella spirituale, il più forte tra gli amori a patto che sia reciproco. Pothos è, invece, un tipo di amore che provano gli adolescenti (oggi descriveremmo con il termine crush, una cotta – Pothos è il fratello di Eros ed è il desiderio amoroso che bramiamo, sogniamo, decisamente idealizzato. Segue Thelema, è l’amore che provi per una cosa, per quello che si fa, per un mestiere. Himeros è l’amore che brucia di desiderio, quello primitivo e impulsivo che deve essere soddisfatto [Himeros è il figlio di Afrodite e fratello di Eros, e anche la personificazione dell’amore folle]. Infine Anteros personifica l’amore corrisposto che ha con un/a fidanzato/a o un marito o una moglie. Anche Anteros è fratello di Eros e si narra che fossero inseparabili. Una leggenda narra del legame profondo tra i due fratelli: Eros non riusciva a crescere, per cui Afrodite si consultò con Temi che le disse che il bambino sarebbe cresciuto solo con l’amore di un fratello. Allora Afrodite, insieme ad Ares, generò Anteros e, da quel momento, Eros cominciò a crescere. Tuttavia, ogni volta che i due si allontanavano, il maggiore tornava fanciullo. Questo perché l’amore ha bisogno di essere corrisposto per crescere. E allora l’amore custodisce infiniti “segreti” in grado di “animare numerose relazioni tra le persone – e non solo – nel bene e nel male”.

In “Come è profondo il mare” di Lucio Dalla, del 1977 (settimo album dell’artista in studio e il primo scritto interamente da lui) c’è la metafora della storia dell’Uomo, della sua evoluzione, delle conquiste, con i pesci che simboleggiano la libertà che sfugge sempre, in un modo o nell’altro, a ogni tentativo di controllo o di sottomissione mentre, in questa poesia, il mare è eterogeneità, vastità, forza che viene presa in prestito per parlare (non solo alludere) dell’amore che è (identicamente) declinabile nelle condizioni di prevedibilità e imprevedibilità insieme e, quando arriva a lambire le nostre esistenze, stupisce, seduce, sconvolge, avvolge, travolge o, addirittura, annega.

 

*Federico Preziosi, poeta, autore di Variazione madre, (Controluna – Lepisma floema 2019) portavoce della Comunità poetica Versipelle, ha un canale Telegram di divulgazione poetica: https://t.me/federicopreziosi

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