IL MIGLIORE “ALLEATO” DI OMICRON? LA CATTIVA POLITICA

Nell’incipit del suo editoriale di tre giorni fa per il Corriere Della Sera, Aldo Cazzullo riflette sul perché nel giro di un paio di settimane l’Italia è riuscita a dilapidare il vantaggio che aveva accumulato su tutti gli altri Paesi europei nel contenimento del Covid e nel rilancio dell’economia, ovvero i due motivi che hanno fatto nascere l’attuale governo di (quasi) unità nazionale.

La spiegazione che ne dà, credo largamente condivisibile, è che il governo e le forze politiche che lo sostengono – tutti troppo condizionati dalle grandi manovre per l’elezione del Presidente della Repubblica – non hanno avuto il coraggio e il buon senso di dare attuazione subito ai provvedimenti che lo tsunami Omicron avrebbe richiesto e che pure erano stati prontamente individuati. Insomma, in rapida sintesi, dopo un periodo di confronto difficile, a tratti anche molto duro, ma proficuo all’interno della maggioranza, si è ricominciato a litigare, soprattutto nelle ultime settimane, che beffardamente sono coincise proprio con l’esplosione dei contagi innescata dalla nuova variante del Virus.

Ma al di là dell’interpretazione, sempre opinabile, di quanto accaduto, ancora più lucida e convincente è la conclusione cui giunge l’analisi di Cazzullo dinanzi alla svolta drammatica imboccata da Omicron.

La ripropongo nei passaggi più significativi: “… Non nascondiamocelo, ci attendono due mesi durissimi… Anche se – come tutto lascia prevedere – una parte infima di contagiati di questi giorni finirà in ospedale, sarà sufficiente a mandare in tilt il sistema. Tutti, non soltanto medici e infermieri ma lavoratori del commercio, dei trasporti, della logistica, della scuola, della sicurezza e pure dell’informazione, saremo chiamati a fare il nostro dovere in circostanze mai sperimentate prima.

Davvero è il momento di superare le discussioni sterili sui vaccini, di lasciare i narcisi del tennis e dell’accademia (o dell’arcadia) al loro destino, e di assumerci ognuno la propria responsabilità, facendo prevalere il noi sull’io, conquistando la consapevolezza che la pandemia finirà per tutti o per nessuno…”.

Parole sante. È del tutto evidente che questo indispensabile atteggiamento mentale dovrebbe essere assunto innanzitutto dalla politica, a cominciare dal governo centrale fino alle istituzioni territoriali, dagli apparati nazionali dei partiti alle loro espressioni periferiche. Se non parte da qui l’esempio, non a chiacchiere ma con atti concreti “visibili” e “udibili”, diventa molto difficile che il percorso venga adeguatamente seguito dalle altre comunità sociali e a maggior ragione dai singoli cittadini.

Allo stato dei fatti – valga per tutti il nostro esempio irpino – si sta andando nella direzione esattamente opposta a quella dovuta. La politica locale è del tutto assente, e quando si sforza di testimoniare una presenza lo fa per esaltare l’Io – di questo o quel deputato, questo o quel consigliere regionale, questo o quel sindaco, questo o quel rappresentante di partito – mai il Noi.

Peggio: s’immagina di testimoniare la presenza demonizzando l’avversario politico o istituzionale, alzando l’indice dell’accusa demagogica contro l’organizzazione sanitaria, esercizio fin troppo comodo e scontato, invece di proporre idee e soluzioni e di seminare concordia e collaborazione.
Insomma, per non farla lunga, ci si comporta irresponsabilmente come se fossimo in tempo beato e spensierato di pace e non già sotto le bombe, per di più il bombardamento d’un nemico fortissimo, subdolo, invisibile.

Allo stato dei fatti manca perfino una bozza di spartito cui uniformare i singoli canti per farli diventare opera corale di convivenza sociale al tempo del Covid. Ognuno se la canta e se la suona ad orecchio, improvvisando acuti che puntualmente, senza risolvere alcunché, degenerano nelle “discussioni sterili” accennate da Cazzullo, alimentano la schiera dei “narcisi del tennis e dell’accademia (o dell’arcadia)”: alla stretta finale, fanno il gioco del Virus, gli danno spazio e ossigeno.

C’è speranza – cito ancora l’Irpinia come un qualsiasi altro luogo d’Italia – che si parta da qui e subito per invertire il senso di marcia intonando finalmente un Noi alto e forte, non tanto o non solo per sentirci umanamente uniti, ma per vincere la guerra?

C’è un problema che non possiamo consentirci di ignorare: dobbiamo muoverci in tutta fretta, siamo già in gravissimo ritardo. Qualcuno delle istituzioni e della politica cominci, si dia un segnale.

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