DA GUIDO DORSO AI TESSERIFICI PD: POVERA IRPINIA!
10.400 tessere, diconsi diecimilaquattrocento. Se anche soltanto un decimo della passione e della fede Pd registrata in Irpinia alimentasse gli spiriti della gente italica, il Partito Democratico potrebbe andare alle elezioni generali anche domattina serenamente (qui non c’entra Letta, non ancora!) con la certezza di avere in tasca una maggioranza non solo assoluta ma bulgara: un “cappotto” di puro cashmere, senza aggiunte di lana o cotone o acrilico, ovvero senza dover ricorrere al “campo ampio” e spurio con la Sinistra Illuminata, i 5 Stelle sempre più cadenti, il centro degli odiati Renzi e Calenda, i restanti partitini e movimenti di centrosinistra che raccolgono consensi percentuali da prefissi telefonici di Milano, massimo Roma.
Diecimilaquattrocento iscritti al Pd irpino – dei quali circa seimila corsi a tesserarsi online nelle ultime 72 ore utili, naturalmente “nottetempo”, come se non avessero avuto tutta la vita precedente a disposizione per farlo – diecimilaquattrocento, dicevo, sono un numero da guinness dei primati, un numero stellare, cosmico, infinito per una provincia di 400mila abitanti: 400mila quando sono tutti qui per le vacanze di Natale, anziani morenti e nascituri compresi.
10.400 tessere, diconsi diecimilaquattrocento, sono esattamente 104 volte il numero dei “cento uomini d’acciaio” evocati da Guido Dorso – giusto per citare un avellinese (non un beneventano) che di Buona Politica s’intendeva – nelle sue riflessioni sull’obiettivo di riscatto del Mezzogiorno d’Italia.
Gli uomini d’acciaio della metafora dorsiana – vale ricordarlo – erano persone “col cervello lucido e l’abnegazione indispensabile per lottare per una grande idea”: per la liberazione del Sud, appunto, attraverso una rivoluzione culturale capace di produrre un profondo rinnovamento delle istituzioni e dei partiti. Sicché, visto che in qualche modo e in qualche senso il Pd irpino pure sembrava animato dall’idea di rivoluzionare il post-De Mita e Mancino nella provincia avellinese, la prima domanda che sale spontanea è perché mai debbano servire ben 10.400 uomini per compiere una missione, la “rivoluzione irpina”, che oggettivamente è pochissima cosa rispetto all’intero Mezzogiorno d’Italia e in buona sostanza meno di niente rispetto all’obiettivo altissimo e nobilissimo dell’idea dorsiana.
Si direbbe, a voler andare per il sottile, che i capi dei due grandi schieramenti del Pd irpino – chiamiamoli così: gli amici del Governatore De Luca da una parte, e gli amici del deputato sannita Del Basso De Caro dall’altra – si fidano talmente poco della “lucidità di cervello” e della “abnegazione” dei propri seguaci che ne trovano a malapena “uno” andabile ogni cento iscritti al partito: tradotto in francese, con l’attuale tesseramento sono stati praticamente messi su due eserciti contrapposti di zucche vuote.
Questa, naturalmente, è la versione faceta del record assoluto (in percentuale) di tesserati ad un partito in Italia, in Europa e nel Mondo. La versione seria non fa ridere. Fa piangere. Racconta di un mercato delle tessere, nell’uno e nell’altro schieramento, che semplicemente è un’offesa al comune senso del pudore, prima ancora d’essere la negazione della politica. Racconta di migliaia di tessere intestate a Tizio, Caio e Sempronio e pagate dai generali, dai colonnelli e dai capitani attraverso i rispettivi caporali di giornata. Racconta di sudditanze psicologiche che hanno indotto tanti povericristi ad iscriversi al Pd senza che avessero mai avuto da bambini, da adolescenti o da adulti il sogno nel cassetto d’una tessera di partito: povericristi che se gli chiedi cosa sia il Pd magari ti rispondono – ahi ahi ahi quel cinico d’un Freud – che è il companatico del pane avuto nello scorso tesseramento da Tizio o da Caio o da Sempronio.
Vincere a tutti i costi e con qualsiasi mezzo il congresso provinciale del Pd. Se necessario, “comprarsi” il Pd: il tesserificio, appunto. Perché tenere le mani sul partito – come tenerle su una città (non c’entra Avellino, sia chiaro), secondo l’interpretazione del grande Francesco Rosi – significa orientare scelte, decidere candidature e nomine, trarre vantaggi, mungere.
Una volta, in questa provincia come altrove, i congressi di partito si facevano su temi, si misuravano le idee sui problemi delle comunità, si mettevano a confronto posizioni diverse, si litigava sulle soluzioni. Per carità, si facevano anche tantissime schifezze sul tesseramento. Ma oggi – almeno qui, almeno nel Pd – si fanno soltanto le schifezze sul tesseramento. Niente temi, niente discussioni, niente problemi. Il che fa specie: in una provincia piena zeppa di guai e criticità – l’elenco sarebbe interminabile – l’unico problema che ha tormentato i giorni e le notti dei deluchiani e dei decariani è stato il congresso, come vincere il congresso, come mettere le mani sul partito. E dopo tante spremute di meningi, sia gli uni che gli altri la soluzione al “loro” problema l’hanno trovata: impiantare un “tesserificio”, fabbricare tessere dal niente. Quasi un miracolo della scienza, la smentita netta perfino della legge di conservazione della massa, il postulato fondamentale di Lavoisier fatto a pezzi e buttato cinicamente nel water closet: non è vero che “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Da queste parti hanno creato tessere di partito dal niente, ed hanno già abbondantemente distrutto l’immagine, l’idea di un partito. Qui tutto si crea e tutto si distrugge: di trasformare – nel senso di cambiare stile, metodi, mezzi, obiettivi, ovvero ispirarsi e farsi guidare almeno da uno straccio di idealità politica – manco a parlarne. Vergogna!
Pensate: 10.400 iscritti, diconsi diecimilaquattrocento. Alle ultime politiche, il Pd in provincia di Avellino ha ottenuto 42.377 voti. Ergo, questo partito conta un iscritto ogni quattro votanti. Non c’è che dire: il rapporto consensi/iscritti è strabiliante. Cioè incredibile. A meno che non si opti, appunto, per la verità dei tesserifici con i discutibili mezzi di produzione e le scellerate finalità suddetti.
Ora, in conclusione, interesserà davvero poco – quando si farà il congresso, ammesso che valga la pena fare un congresso in queste condizioni farlocche – se alla conta finale risulteranno vincitori i deluchiani oppure i decariani. Ciò che interessa, oggi per domani, è sapere come si comporterà il segretario nazionale del Pd Innovatore e Rivoluzionario Enrico Letta. Sarebbe un gran bel gesto, per cominciare, se chiedesse scusa agli irpini dopo lo spettacolo indegno offerto dai suoi rappresentanti sul territorio. Ma sperateci poco. Letta – si perdoni il bisticcio – è carta già abbondantemente letta.
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