Il Parlamento litiga per quota 100 ma i 40nni di oggi avranno una pensione da fame
Tra 15 anni circa il 60 per cento dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 avrà una pensione inferiore alla soglia di povertà. Secondo i calcoli della Ragioneria dello Stato, se oggi l’assegno copre tra l′80% e il 90% dell’ultimo reddito, tra dieci anni i lavoratori dipendenti dovranno fare i conti con il 60-70% sull’ultima retribuzione e quelli autonomi con il 40-50%
Tra 15 anni circa il 60 per cento dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 avrà una pensione inferiore alla soglia di povertà. Secondo i calcoli della Ragioneria dello Stato, se oggi l’assegno copre tra l′80% e il 90% dell’ultimo reddito, tra dieci anni i lavoratori dipendenti dovranno fare i conti con il 60-70% sull’ultima retribuzione e quelli autonomi con il 40-50%.
Stime persino ottimistiche in considerazione del mix scaturito dall’applicazione del sistema contributivo puro e dalla discontinuità lavorativa con cui sempre più giovani devono purtroppo fare i conti. Senza considerare che queste generazioni di lavoratori già oggi hanno redditi da lavoro più bassi rispetto ai lavoratori più anziani e prossimi alla pensione.
Secondo una simulazione dell’Ufficio Studi Io Investo, un giovane metalmeccanico che a inizio carriera riceve un reddito medio annuo di ventimila euro e a fine carriera di circa 45mila, andrà in pensione con un tasso di sostituzione del 64%. Tradotto: l’assegno sarà di 28800 euro lordi, netti 21.500, con una perdita di più di seimila euro l’anno nel passaggio da reddito da lavoro e reddito da pensione.
La simulazione tuttavia si basa sulla previsione di una continuità lavorativa che oggi per molti giovani un miraggio, e di un’uscita da lavoro a 67 anni e 11 mesi. Secondo un report della Cgil del 2019, i quarantenni di oggi, specie quelli con lavori saltuari, poco remunerati o part-time, rischiano di non andare in pensione prima dei 73 anni.
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