PAOLO E L’ARTE DI MASCHERARE
A Milano non vincono solo la moda, la finanza e il design. L’arte è un altro settore che nutre il prestigio internazionale di questa città stoica, instancabile, invincibile, che in queste settimane sta dimostrando al mondo come ci si rialza anche durante una pandemia ancora in atto.
Nel cuore della città il quadrilatero della moda confina con il quartiere di Brera, luogo in cui gli artisti convivono con la movida e con i fortunati cittadini che abitano negli splendidi palazzi d’epoca tra corti, cortili e silenziosi giardini d’altri tempi. Percorro i vicoli e le strade del quartiere con la solita fretta metropolitana e ad un certo punto, in Via Brera, a pochi metri dall’Accademia, il mio sguardo intercetta una galleria che espone dipinti raffiguranti Manhattan. Skyline, strade, persone, pioggia e auto in coda, taxi, lampioni, department stores, Central Park, semafori, teatri e ristoranti che hanno fatto epoca. Tramonti, Empire State Building, baci rubati e ponte di Brooklyn, Twin Towers, fasci di luce che fanno sembrare le opere scatti fotografici. “Amazing!”, direbbe un newyorkese. Pazzesco! New York negli anni del dopoguerra e del boom, come la ricordiamo negli anni ’70, nei mitici anni ’80 e ’90, fino al 2001. E la Manhattan di oggi, quella che Paolo Paradiso, artista milanese contemporaneo, continua a raccontare lavorando, divertendosi, ispirandosi.
Il gallerista mi accoglie con un sorriso e rimane per qualche minuto seduto alla sua scrivania, lasciandomi alle emozioni che non riesco a trattenere. Rivivo giorni, colori, odori, percezioni che riaffiorano mentre mi immergo in quella Grande Mela che mi ha accolta in alcuni momenti speciali della mia vita, aiutata anche dalla musica jazz che aleggia nella sala dedicata alle opere di Paolo.
Scopro di essere entrata nella Galleria Ponte Rosso, una delle più prestigiose di Brera. Fondata nel 1958 come casa editrice, mira a promuovere la conoscenza della pittura italiana contemporanea nel settore figurativo, anche attraverso il “Premio Carlo Dalla Zorza”, del 1995 e dedicato ai giovani artisti italiani. Dal 1973 la galleria diretta all’epoca da Nando e Orlando Consonni, ha rimesso in luce le personalità, i valori, i percorsi che hanno segnato lo svolgimento della pittura dal primo novecento ad oggi nell’area territoriale lombardo veneta, e non solo.
L’atmosfera è di grande cordialità e Alessandro Consonni, oggi alla guida delle attività della galleria di famiglia insieme alla moglie, mi conduce per mano tra un quadro e l’altro, mi racconta la storia di Paolo, una storia che sento particolarmente vicina. Paolo, da sempre appassionato di pittura e di Edward Hopper, nel ‘78 aprì uno studio fotografico collaborando con riviste di moda e studi fotografici. Successivamente, si trasferì a Chicago, dove la pittura divenne la sua attività prevalente. Nel 2003 la sua produzione venne esposta alla Michael H. Lord Gallery. Nel 2004 Paolo tornò a Milano e vinse il “Premio di Pittura Carlo Dalla Zorza”. Oggi vive e lavora tra Milano, Parigi e Barcellona e, a differenza di molti altri artisti, non ha mai smesso di dipingere durante la pandemia e durante i lockdown. Si definisce “poeta delle ombre” quando ringrazia la fotografia in bianco e nero che gli ha fatto scoprire la magia della luce e rende omaggio alle “automobili grosse come barche, alle linee curve e al tripudio di luci e cromature” che lo hanno ispirato in molte delle sue opere.
Alessandro descrive il suo artista come un genio vivace, instancabile, pieno di ispirazioni e di motivazione, cosa che non ha mai perso anche quando il mondo si è spento sotto la minaccia del virus e a causa del primo lockdown. E mi racconta una storia bellissima.
“Nel marzo 2020, nei giorni in cui il terrore iniziava a dilagare in ogni angolo del pianeta” – racconta Alessandro – “Paolo dipingeva un quadro, che adesso è qui da me ma che abbiamo deciso di non esporre, che rappresenta una folla di persone assembrate durante un concerto a New York. Ironia della sorte, sono stati gli ultimi giorni della nostra vita senza le mascherine e senza l’obbligo di distanziamento sociale. Qualche giorno dopo, Alessandro si è immediatamente reso conto che la rappresentazione della folla, così com’era, senza maschere e senza distanziamento, non poteva più reggere ed essere realistica. E allora cosa ha fatto? Ha ripreso la tela e ha dipinto una mascherina su ogni singolo volto di quella folla in delirio al concerto”.
Vi assicuro che si tratta di una moltitudine di volti le cui dimensioni non sono proprio macro! La mia reazione è stata immediata. Non ho saputo resistere alla tentazione di chiedergli di farmi vedere il quadro. Alessandro e sua moglie sono andati nel retro della galleria e lo hanno portato in sala, entusiasti di mostrarmelo. “Amazing!” Bellissimo! Un’opera d’arte nell’opera d’arte, un’idea geniale! Quei visi sognanti, coinvolti, appassionati di musica e di vita, sono stati immortalati da Paolo nell’ultimo concerto dal vivo, prima del Grande Silenzio. Ma quella stessa folla che il giorno prima esultava sotto al palco di un concerto a Manhattan in totale spensieratezza e libertà, ignara di ciò che l’avrebbe travolta, si è trasformata in tempo reale in una folla mascherata, ammutolita. Non a caso l’espressione di quei visi è rimasta intatta, nonostante le bocche e le voci siano state coperte, e gli occhi hanno mantenuto la stessa carica emotiva. Le mani sono rimaste alzate e i corpi ancora assembrati sembrano volerci dire che l’unione fa la forza. E mi permetto di aggiungere che la nostra forza oggi, oltre alla maschera, è il vaccino. Se vogliamo tornare a gioire ai concerti dal vivo che sono ancora intrappolati nel Grande Silenzio.
Paolo e Alessandro mi hanno regalato un’emozione forte, non la dimenticherò. L’emergenza ha “aguzzato” il talento artistico, dal quale è scaturita un’opera d’arte che rimarrà un documento storico carico di significati e, sicuramente, unico nel suo genere.
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