SIANI: UN CRONISTA PURO
Da piccolo mi dicevano che i sogni si tengono chiusi nel cassetto. Quando la gioventù fiorisce allora quel cassetto si apre e il sogno si trasforma, diventa reale. O meglio, dovrebbe. Visto così, il mio sogno si è sfaldato in fretta. La percezione del mondo e della sua fine è diventata fin troppo concreta. Nasco e muoio troppo presto, nel giro di 26 anni, compiuti da poco, una sera di settembre. Mi chiedo ancora come mi sia venuta in mente questa idea di libertà. Essere un cronista puro, senza compromessi, costa. Il dolore pulsa ancora nelle ossa. È un cocktail micidiale e adrenalinico l’esistenza di chi osa. Misto a un veleno silenzioso sfigura la vista e prende spazio senza chiedere permesso. La fine, quella vera, si può avvertire quando arriva a notificarti la sentenza di condanna. L’annusi nell’aria. È un misto di erba bruciata, fumo di copertoni, cenere e lapilli fondenti. Ricordo quel giorno senza trepidazione. La macchina da scrivere si inceppava più volte. La fatica di battere un atto di morte la sentiva anche lei. Eppure le mie mani non si fermarono. Tolsero l’inceppo, ripresero la storia, consentendo al destino di entrare nel vicolo buio, davanti casa mia e di premere il grilletto. Giancarlo Siani è rimasto impresso sul quel foglio bianco. Firmo l’articolo. È pronto per la stampa. Se deve andare così andrà, mi sono detto. Non avevo paura. Mi sono fermato solo un secondo a pensare. La consueta chiosa ai miei pezzi. Normale amministrazione. Scrivo di gente e di delinquenti. In questo articolo le fila e gli intrecci sono chiari. Non c’è modo di sviare il discorso sul dubbio. La verità è questa ed io questa scrivo. Gionta era diventato alleato del potente boss Lorenzo Nuvoletta, amico e referente in Campania della mafia vincente di Toto’ Riina. Nuvoletta aveva un problema con un altro potente boss camorristico. Stava per scoppiare una guerra senza quartiere. L’unico modo di uscirne era soddisfare la richiesta di quest’ultimo: eliminare Gionta. Per non tradire l’onore di un mafioso, facendo uccidere un alleato, Nuvoletta fece arrivare da un suo affiliato una soffiata ai carabinieri e lo fa arrestare. Una mia intuizione, scopro la tresca, la svelo senza esitazione. Il Mattino stampa la mia verità e nell’edizione del 10 giugno del 1985 si cristallizza la condanna. Lorenzo Nuvoletta, con il beneplacito di Riina, decretò la mia morte. È vero, l’inchiostro sbiadito non rende giustizia a questa pece nera che invade ogni cosa. Non rende giustizia a quello che succede a Napoli e non solo. Non rende giustizia al decadimento morale e sociale che si insinua nelle basi della società. È una mistura stagnante che modifica geneticamente ogni cosa che tocca. Al punto che siamo è impossibile tornare indietro. Assurdo vivere in un mondo come questo. Se qualcuno tenta di alzare la testa è fregato. Tutto viene e deve essere messo a tacere. Posso dire, da morto, di essere stato un giornalista vero, anche senza il decreto dell’ordine professionale e l’esame. Non ho fatto in tempo. Una mia intuizione ha ricoperto il mio corpo di terra fresca. Ridurmi al silenzio era l’unica cosa necessaria da fare. Eppure non ero ancora nessuno, ero solo un aspirante giornalista. Non per mestiere, non per la gloria ma solo per dare una boccata d’ossigeno a questa immane discarica a cielo aperto. Niente da fare. Le tossine infette di quella gente sono già sangue. La Nazione ha le vene sature di questo veleno. Le contrade pullulano di miseria e nobiltà. E la miseria ha, grottescamente, la faccia dell’eletto o del messo al posto giusto. “Sogna come se dovessi vivere per sempre, vivi come se dovessi morire oggi.” Che grande pensatore Oscar Wilde, io ancora sogno di vivere in un mondo diverso, eppure sono morto da tempo. Ma ho vissuto e di quella vita ho fatto tesoro, senza compromessi e senza infamia. Loro no. Chi mi ha ucciso è stato dimenticato. Io vivo e sempre vivrò in quante sono le coscienze fatte ancora di carne in questo ossario di millantatori e giornalisti per contratto. Alcune delle “strane notizie” che oggi meritano la prima pagina quasi si incollano alla prostituzione di chi batte sul marciapiede eppure quest’ultima sembra un santuario rispetto a chi batte sul quotidiano la notizia. Mi viene il vomito. La camorra non fa più paura. Una parte della politica ha preso posto nel malaffare ed è tutto normale, quasi legale. “È cosa ‘e niente” – diceva Eduardo – “e a furia ‘e dicere è cosa’e niente siamo diventati tutti cosa ‘e niente.” Non io, il mio testamento lo legga chi vuol diventare giornalista senza tesserino. Piuttosto perdere la vita che la morale.
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