Non chiamiamolo amore, per favore!

Il mio irrefrenabile istinto e la rabbia che a volte ne segue, mi porta a dire: “Non chiamiamolo amore per favore! Sia pure amore di nonni!”

Sì, lo so, parlare di amore, oggi come oggi, non è una buona idea. Piuttosto è arcaico e fuori moda in un mondo che ha bisogno di andare veloce, di produrre, di monetizzare; ha bisogno insomma di tante cose ma non certo di sentimentalismi. Anche se così, poi, si è determinato inevitabilmente l’imbarbarimento della società.

Del resto non esiste un concetto generale e assoluto di amore, in quanto ognuno lo intende a modo proprio, e non sarò certo io a darne una definizione.

Però se parliamo di bambini, allora avremmo il dovere di soffermarci, di riflettere, di agire in modo più responsabile e di cercare di tener presente il più possibile questo sentimento. Che certo, non è mai pseudonimo di violenza o di interessi.

Ebbene: è possibile ritenere che si parli d’amore laddove un bimbo indifeso e di tenera età è diventato oggetto di contrastate contese legali!? O, peggio, quando è oggetto di rapimento da parte di un familiare?! O quando si decide della sua vita senza cercare di capire gli intendimenti e i desideri che nutrivano i genitori per lui?!

Il piccolo Eitan, a soli sei anni, si ritrova con una vita completamente stravolta, perché ha avuto la sfortuna di perdere in un tragico evento entrambi i genitori, quelli cioè capaci di proteggerlo giorno dopo giorno da cattiverie e pericoli, di amarlo in modo autentico e profondo come mai più nessun altro, capaci di insegnargli la tenerezza, la verità, il perdono, la necessità del dialogo o, finanche, di imporre le loro volontà ma a mero scopo educativo. Capaci dunque di farne un uomo giusto, un domani.

Eitan, che per inciso sarà destinatario di eredità e di risarcimenti considerevoli, nella tragedia del Mottarone si è salvato, ma purtroppo ha perso il bene prezioso della famiglia. È stato privato dalla sorte di quella importante rete di protezione che solo questa può dare.

Così, mentre iniziava la sua ripresa psicologica nella casa della zia paterna cui è stato affidato, qui in Italia, con l’inganno è stato portato in Israele dai nonni materni senza alcuna preparazione a questo ulteriore cambio di vita, senza che vi fosse un confronto o un dialogo con l’affidataria per capire cosa fosse realmente meglio per il bambino al fine di concordare magari un’alternata pacifica presenza dei parenti sopravvissuti, in modo da non insegnargli, così, la legge del più forte, almeno nell’ambito dei rapporti affettivi.

Il poeta georgiano Magradze recitava “Voi cercate il colpevole in me / Io, nel colpevole, cerco l’uomo”. Rifletto su questi bei versi e mi trattengo, con difficoltà, dal cercare i colpevoli in questa triste vicenda del piccolo Eitan, ma vorrei tanto che fossimo sempre capaci di vivere e di agire mettendo al centro delle nostre azioni innanzitutto “l’uomo” e quindi l’amore per esso, quello puro, immune cioè dai motivi di interesse, dagli atti di violenza e di prepotenza, dalle guerre verbali e giudiziarie che, nei rapporti familiari, non dovrebbero avere luogo. Perché l’amore è dialogo, è comprensione, spirito di sacrificio, persino scontro, ma è saper vestire gli abiti anche scomodi di chi amiamo.

Ho letto che Umberto Saba un secolo fa circa scriveva “…è tempo che i poeti facciano la poesia onesta”…

Io direi che sarebbe il tempo che gli uomini facessero “azioni oneste” per lasciare in eredità ai bambini un mondo meno crudele.

Se non siamo capaci di azioni oneste, di comprensione, di sacrificarci a volte, per lo meno nei confronti delle persone fragili come lo sono i bambini, beh allora non chiamiamo amore, per favore, ciò che proviamo!

I commenti sono chiusi.