Tempo Pieno, con la pandemia il divario tra Nord e Sud si è fatto drammatico

In Emilia Romagna si spendono 116 euro a residente per mense e trasporti, in Campania 40. La beffa è nella norma, che riconosce maggiori risorse a territori con maggiore fabbisogno. Come dire che un bimbo emiliano ha più diritti di un bimbo campano

Tempo pieno, la pandemia ha acuito drammaticamente il divario tra Nord e Sud. Dove la primaria con 40 ore settimanali era una realtà già radicata alla vigilia dell’emergenza sanitaria, nel corso di questi due anni sono aumentate fortemente le richieste di tempo pieno e il servizio è stato rafforzato. Dove, come in tutto il Mezzogiorno, l’offerta era già molto limitata non si è registrato un incremento della domanda da parte dei genitori e l’offerta di servizi resta molto al di sotto della media nazionale. In  Emilia Romagna, dove in epoca pre covid il servizio di tempo pieno alle scuole primarie raggiungeva un bambino su due, con oltre il 90 per cento delle richieste accolte, quest’anno si registra un incremento delle richieste di oltre sette punti percentuale ed un tasso di accoglienza del 90 per cento. Nella nostra regione, invece, il servizio è fermo al 18 per cento con un tasso di accoglimento delle domande limitato a due bambini su tre. Due anni fa le richieste erano al 25,7 %, oggi sono al 26,7.

La carenza del tempo pieno al Sud va di pari passo con la capacità dei Comuni di garantire servizi accessori quali mense scolastiche e servizi. E il dramma nel dramma sta nel fatto che le statistiche si sono trasformate in regole. In Emilia Romagna per questi servizi si spendono 116 euro all’anno per residente mentre in Campania solo 40. Dal 2015 si fa ricorso a queste rilevazioni statistiche per misurare il diritto futuro di ogni territorio, muovendo dal presupposto che ad un fabbisogno maggiore corrispondono maggiori risorse. Si è stabilito, dunque, che un bambino emiliano o lombardo ha più bisogni di un coetaneo calabrese o campano.

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