È GIOVEDÌ
“È giovedì” è stata sempre l’espressione di noi Atripaldesi usata per indicare, non semplicemente uno dei giorni della settimana, bensì la ricorrente fiera-mercato settimanale puntualmente ospitata al centro del Paese.
Effettivamente, per poche ore del mattino, Atripalda si trasformava, come per magia, in un assortito emporio di merce d’ogni genere, ordinatamente esposta in vendita in piazza Umberto I e nelle strade adiacenti, sempre negli stessi posti, da tanti venditori venuti nel Paese carichi delle loro mercanzie.
Ricordo che il largo “Tigli” non ancora “violentato” da quella inopportuna costruzione, ospitava il mercato degli animali.
Sugli spazi vicini, compreso il “passiaturo”, comparivano tendoni e banchi pieni di tessuti, vestiario economico, scarpe e tante altre cose utili.
Intorno al monumento della stessa piazza splendevano sotto il sole attrezzi e manufatti di ferro, rame, ottone, somiglianti alle armi di guerrieri antichi.
Di lì accanto potevano acquistarsi cordami ed oggetti agricoli, e un po’ dovunque generi alimentari e tante, ma tante altre cose utili alla vita domestica.
Infine lungo la via fiume, oltre i ponti del Sabato, si rinvenivano semi, piante, frutta, verdura, ed, un po’ dovunque, tanta altra e varia merce completava il pittoresco quadro di quell’importante appuntamento commerciale che ogni giovedì mattina, per qualche ora, si sovrapponeva al consueto aspetto del Paese, sempre atteso con interesse e forse inconsapevolmente amato dalla popolazione, che ne accettava volentieri anche confusione e disagi.
Persino i commercianti atripaldesi, probabilmente danneggiati da quella eccezionale concorrenza, mai se ne lamentarono e la accolsero civilmente, forse perché anch’essi innamorati di quella antica consuetudine.
Tutto era ben tollerabile in omaggio a quel rito del giovedì atripaldese, che peraltro consentiva alle madri di famiglia di effettuare copiosa spesa, a prezzi convenienti, di quanto occorrente e disponibile, tutto nel limitato e comodo spazio del centro urbano.
D’altra parte, già sul finire di quella stessa mattinata, i venditori e la loro residua mercanzia, così come erano venuti, magicamente scomparivano, le strade subito ripulite, il Paese recuperava il suo consueto belletto, almeno sino al successivo giovedì.
Ma, dopo i remoti anni, sono sopravvenute esigenze nuove, come per il decentramento, la delocalizzazione, la ridistribuzione di pratiche di vita, la salvaguardia del progresso cittadino, dell’ambiente e di tante altre belle cose senz’altro approvabili, ma che purtroppo hanno richiesto la modifica dell’antica immagine del cosiddetto “giovedì” con la sua fiera-mercato tutta sotto casa, ridistribuendo tutti quei posti vendita anche in luoghi più lontani e separati, disseminati nell’area del Paese nel frattempo cresciuta molto in estensione.
Certamente ci saranno stati nuovi vantaggi (oltre che disagi), ma qualcosa si è comunque perduta nel cambiamento dovuto alle esigenze del progresso.
Si sa che non si può e non si deve mai pretendere di avere e conservare tutto, ma tuttavia, come non si potrebbe “impedire al fiume di correr verso il mare”, così non si dovrebbero modificare artificialmente gli usi nati dal comportamento centenario e spontaneo di tutta la buona gente, senza far correre ad essi il pericolo di scomparire per sempre.
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