Alto Calore, “Bassissimo” Impero
Una riflessione a bocce ferme – intendo le bocce delle reazioni politiche – sull’ultimo ciclone giudiziario che ha scosso la provincia irpina.
Partiamo dal dato di cronaca. E poiché si tratta di materia delicata e complessa, ne affidiamo la narrazione al comunicato stampa integrale della Procura di Avellino, con la doverosa sottolineatura che si tratta della “verità” rivelata dalla magistratura inquirente, quindi una verità giudiziaria allo stato dei fatti provvisoria e di parte.
Ecco il testo che tanti di voi lettori già conoscono:
“Nella giornata del 7 settembre la Sezione contro la criminalità economica della Procura della Repubblica di Avellino ha avanzato richiesta di fallimento per l’Alto Calore Servizi s.p.a., proprietaria dell’infrastruttura di distribuzione idrica per il territorio irpino e parte di quello sannitico, svolgente attività di controllo, trattamento, difesa e valorizzazione delle risorse idriche e, in particolare, la gestione del servizio idrico integrato con captazione, accumulo, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili e industriali, inclusi i servizi di fognatura e depurazione delle acque reflue, nonché attività connesse e collegate a detta gestione, ivi compresa la manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali connesse allo svolgimento del servizio idrico.
Le mirate indagini, coordinate dalla Procura di Avellino con l’ausilio dei Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Avellino, si sono articolate nell’analisi approfondita dei dati societari contabili e fiscali, con acquisizioni documentali ed escussione dei soggetti interessati, tra i quali rappresentanti governativi nazionali e della Regione Campania, della Provincia di Avellino e dei Comuni partecipanti all’azionariato dell’Alto Calore, società in house con capitale interamente detenuto da enti pubblici.
Il dato accertato è quello di una profonda crisi aziendale, con risultati annui di esercizio caratterizzati da un trend costantemente negativo da più di un decennio e un’esposizione debitoria giunta ormai, in assenza di prospettive di concreto risanamento, a quasi 150 milioni di euro”.
Fin qui la narrazione dell’Ufficio del Procuratore. Aggiungiamoci – ancora doverosamente e in estrema sintesi – il punto di vista dell’attuale Amministratore dell’Alto Calore, Michelangelo Ciarcia: la Società è in grado di dimostrare che può farcela e perciò darà battaglia in sede di giustizia fallimentare.
Adesso mettiamo da parte le due posizioni in campo, lasciamo fare ai magistrati giudicanti il loro mestiere, aspettiamo che la “verità giudiziaria” inappellabile ci riveli se la Procura abbia visto giusto nelle pieghe di una vicenda decisamente complessa, oppure se l’Amministratore Ciarcia sia di fatto nella condizione di produrre argomenti ma soprattutto atti capaci di dimostrare l’infondatezza della tesi che il Pm ha costruito sulla base degli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza.
Diciamolo, allora: se soltanto il tempo del processo fallimentare potrà restituire la verità giudiziaria definitiva, non è necessario ricorrere a fatiche amletiche per sciogliere già in questa sede il dubbio sul “fallimento politico” dell’Alto Calore Servizi.
È nelle cronache incontestabili almeno degli ultimi 40 anni, infatti, che l’Alto Calore, nato come Consorzio di comuni irpini e sanniti con l’idea appropriata e lungimirante di gestire nel modo più conveniente il bene pubblico dell’acqua, si è via via trasformato in un carrozzone funzionale agli interessi di partiti e soggetti politici e in via del tutto secondaria, ancorché non marginale, agli interessi della comunità irpina e in misura minore di quella sannita.
Nelle cronache degli ultimi 40 anni c’è scritto che l’Alto Calore ha “servito” soprattutto, anzi quasi esclusivamente, gli interessi politici dell’ex Democrazia Cristiana e di tutte le sue derivazioni di nuovi nomi fino alla fusione con l’eredità politica e culturale dell’ex Pci.
C’è scritto e dimostrato a chiare lettere l’uso clientelare che la gestione politica ne ha fatto a totali spese della collettività (l’Alto Calore è nata come consorzio di comuni ed è successivamente diventata Spa di comuni).
C’è scritto che, in una certa fase della storia Alto Calore, i suoi gestori di nomina politica Dc non si sono accontentati di fare clientela, né di guadagnare lauti compensi, ma hanno allargato il loro mercato incassando tangenti milionarie sugli appalti, fino a lasciarsi prendere con le mani nel sacco e finire in galera.
C’è scritto che grazie alla Mucca Alto Calore personaggetti di cultura e capacità politiche decisamente molto scadenti hanno potuto scalare montagne istituzionali impensabili (leggi pure Parlamento e Consiglio regionale).
C’è scritto di compromessi “preistorici” tra i vertici dell’ex Dc e dell’ex Pci per sdoppiare l’Alto Calore e ricavarne – si scusi il bisticcio – il doppio delle poltrone di prima classe.
C’è scritto – appendice al capitolo “Clientelismo elettorale” – di un numero di promozioni a dirigenti talmente alto che alla fine trovare un impiegato “semplice” nell’organico della Società sarebbe come cercare il proverbiale ago nel pagliaio.
C’è scritto anche – e siamo alle pagine attuali della cronaca – di sindaci che esultano per la richiesta di fallimento dell’Alto Calore, facendo spudoratamente finta di dimenticare che hanno partecipato per anni ai “banchetti” della Società sedendo nel Consiglio di Amministrazione e/o percependo compensi per progetti di nessuna utilità: vergognoso che passi sotto il silenzio degli irpini il tentativo di certi squallidi personaggi in fascia tricolore di rifarsi una verginità dopo le prostituzioni politiche di cui si è stati volontari e interessati protagonisti.
C’è scritto della estrema superficialità – dunque della colpa politica grave – con cui i comuni soci hanno approvato bilanci che rinviavano ad un improbabile gioioso domani il risanamento del debito.
Tutto ciò c’è scritto, oltre che nelle cronache, in diverse denunce private e pubbliche: una per tutte – la più coraggiosa, meglio documentata e peraltro reiterata – quella dell’architetto Claudio Rossano.
C’è infine scritto che con le gestioni degli ultimi anni vi è stato quanto meno il tentativo di contenere sprechi, abusi, riduzione dell’organico superfluo: ahinoi, purtroppo gocce nel mare di un disastro da 150 milioni di euro, come la Procura documenta e dove tutte le migliori e generose intenzioni non potrebbero mai far diventare opinione la matematica: quella massa debitoria c’è, è enorme ed è molto improbabile sostenere con successo che possa scomparire a colpi di giochi di prestigio.
Va detto a margine – ma a margine solo perché il nostro punto di vista è ininfluente nella giungla ch’è l’attuale realtà istituzionale irpina – che l’Alto Calore Servizi ha comunque un patrimonio di risorse umane, specie in campo tecnico, che sarebbe un ulteriore delitto distruggere.
E va detto, anzi ripetuto in conclusione, che di tutto si può discutere intorno al tema Alto Calore fuorché dell’acclarato, irrecuperabile fallimento della sua gestione politica, che è stata familistica, clientelare, corrotta, priva di qualsiasi principio etico, insaziabile nella mungitura delle risorse quanto cinica nella negazione dei diritti del cittadino qualunque. Una pagina vergogna della storia d’Irpinia che nessun tribunale fallimentare, penale o civile potrebbe giammai risarcire.
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