NOI E DANTE
Nell’immagine di un grande poeta come Dante, noi, comuni esseri umani, ci ritroviamo tutti, considerando il turbinio delle molteplici emozioni e passioni che animarono il suo intelletto.
Quest’uomo, che sempre pensò alla sua Firenze, ne dovette soffrire per sempre l’esilio; che amò idealmente Beatrice, ma ne provò tuttavia il dolore di una precoce morte, consolandosi soltanto di ritrovarla, poi, come propria guida, nel Paradiso della sua opera.
Ed è in quest’opera immortale che si manifestano i suoi vari stati d’animo, con cui egli si esprime per noi e che fanno mutare perfino il suono delle parole nei versi della sua poesia.
E’ così quando Dante dice dell’amore che “a nullo amato amar perdona”, o quando si infervora di passione politica nel dibattito con Farinata degli Uberti a cui addebita “lo strazio e il grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso”, oppure allorché esalta il senso dell’avventura, facendo affermare da Ulisse “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtude e canoscenza”, o quando esprime raccapriccio nello scorgere il conte Ugolino che “la bocca sollevò dal fiero pasto” mentre rodeva il cranio del suo traditore.
Diviene poi romantico là dove racconta che “era già l’ora che volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il cor lo dì che han detto ai dolci amici addio…”, od anche mistico ed ispirato quando fa pregare S. Bernardo, col dire “Vergine madre, figlia del tuo figlio…”.
Lo stesso Dante sopportò anche le difficoltà di sopravvivenza nella vita col prossimo se costatò “come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e il salir per l’altrui scale”.
E proprio come tutti noi, conobbe i giorni di paura e di speranza.
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