NE HA DI BIT IL TUO COMPUTER? – UH, “QUANTI”!

È la domanda che potremmo sentirci porre, da un amico che verrà a farci visita a casa, tra qualche anno. E la meraviglia nello scoprire che è un Qubit Computer.
Si fa un gran parlare, in questi ultimi tempi, della realizzazione di computer quantistici. L’IBM già ne rivendica un prototipo, l’Ibm Q Sistem One dal 2019, assicurandone l’utilizzo attraverso il cloud (risorsa di rete). A seguire si stanno attivando Google col progetto Quantum Artificial Intelligence Lab, Microsoft e Amazon. Di questi giorni l’ultima notizia; la Cina annuncia lo sviluppo del computer quantistico Zuchongzhidichiarando un incredibile risultato raggiunto: 66 qubit, a differenza dei 53 qubit di Google e i 20 dell’IMB. E per finire un gruppo di scienziati dell’università di Innsbruck, che dichiara la realizzazione di una macchina molto più piccola sia in termini di calcolo ma anche di volume – rispetto a quelle dei concorrenti, grandi quanto una sala da pranzo – compresa in due rack da 12 pollici.

Ora mi tocca parlare di cosa sia e come funzioni un computer quantistico. Dal momento che non voglio dare l’immagine del figlio di Bertoldino – ricordate il nome? – mi sono ripromesso due cose: essere quanto più chiaro possibile e anche semplice, soprattutto per tener fede al comandamento della rubrica: minima scienza. Allo scopo, mi sono ricordato di un articolo che ne parlava, in una delle mie tante riviste scientifiche che tengo sparse per casa, collezionando rimproveri. È del fisico quantistico inglese Wilfried Hensinger, che con spirito divulgativo tipicamente anglosassone, ne fa una esauriente spiegazione.

Sintetizziamo.
Nel 1975 vi fu l’avvento di Windows. Si passava da un desktop, pieno solo di numeri e lettere, a finestre – per l’appunto – con le prime immagini e in seguito i primi file audio e video. In poco più di quarant’anni la potenzialità del calcolo digitale ha fatto passi da gigante permettendo delle applicazioni capaci di gestire – e in molti casi governare – numerose nostre attività quotidiane. Secondo la legge di Moore, da trent’anni a questa parte la potenza del calcolo computazionale cresce sistematicamente con un ritmo di raddoppio ogni diciotto mesi.
Ora l’informatica quantistica promette – in dieci anni – di effettuare una nuova rivoluzione che scienziati e politici già descrivono come “dirompente”. I computer quantistici ci consentiranno di risolvere problemi che al momento restano insormontabili per qualunque supercomputer convenzionale.
La meccanica quantistica spiega il modo in cui gli atomi si comportano e interagiscono gli uni con gli altri dando origine a tutte le proprietà della materia contenuta nell’universo, quali: il colore di un oggetto, la sua forza, la sua maniera di condurre il calore e l’elettricità. Spiega anche come si comportano gli atomi nel nostro corpo, determinando il nostro modo di vedere, sentire gli odori e percepire in generale il mondo intorno a noi. È una teoria dotata di un potere straordinario. Questi comportamenti e interazioni hanno qualcosa che esula dalla meccanica tradizionale tanto che lo stesso Einstein era molto a disagio con queste peculiarità della fisica quantistica, le definiva inquietanti e propose degli esperimenti mirati a smentirla, senza però riuscirci.
In parole povere due atomi comunicano tra loro, dando origine a due fenomeni, che i fisici si ingegnano ora a finalizzare per scopi informatici: la sovrapposizione e la correlazione – in inglese, entanglement –.
La sovrapposizione è la possibilità di un atomo di muoversi contemporaneamente avanti e indietro. Hensinger fa un esempio: immaginate di dover uscire da un parcheggio stretto tra due macchine; anziché avanzare un po’ a toccare l’auto che avete davanti, poi in retromarcia dare una botta a quella dietro, nello stesso istante andate sia addosso alla macchina davanti sia a quella dietro. (L’autore si è solo dimenticato di dire se anche in questo caso l’assicurazione copre contemporaneamente i danni ad entrambe le auto).
La correlazione è ancora più straordinaria. Veramente l’unico modo corretto di spiegare l’entanglement prevede equazioni matematiche. Ma per togliere dall’imbarazzo non solo voi, anche me, passiamo alla maniera semplice: è quel fenomeno che le neuroscienze stanno ancora studiando per spiegare il comportamento di certi gemelli. Quando cioè un’emozione, un comportamento, un episodio di vita di un gemello viene percepito dall’altro gemello anche se vive a notevole distanza, sotto forma di sensazione. Due atomi si comportano allo stesso modo: se faccio qualcosa a uno dei due questo influenza istantaneamente l’altro, anche se si trova a grande distanza e non ha alcuna possibilità di comunicare con il primo atomo.

Sono sessant’anni che i fisici studiano queste caratteristiche portando avanti esperimenti, affinandoli e adottando ogni tipo di espediente possibile per trovare delle falle: niente da fare!
I fenomeni bizzarri come la sovrapposizione e l’entanglement accadono realmente.
… E allora perché non sfruttarli al fine di un utilizzo informatico?
In un computer convenzionale l’informazione viene codificata in unità binarie, i bit, che possono essere zero o uno. Una stringa di bit rappresenta l’informazione che deve essere elaborata da un processore per dare origine a un numero. Facciamo un esempio con due bit: 01 (il numero binario “uno”) e 10 (il numero binario “due”). Questi due numeri, vengono poi mandati ad un processore e sommati per ottenere 11 (il numero binario “tre”) e così via fino ad ottenere con le successive operazioni tutti gli altri numeri. Questo esempio fa capire come le operazioni vengono svolte sequenzialmente, una dopo l’altra.
Il computer quantistico può avvalersi, nel nostro caso, del principio della sovrapposizione. Questo significa che due bit quantistici (o qubit) possono ottenere tutte le combinazioni possibili di due bit. Nella fattispecie i quattro numeri: 0, 1, 2, 3 (scritti in ordine binario come 00, 01, 10, 11) vengono computati tutti allo stesso tempo. Se si passa a numeri più grandi questa differenza cresce vistosamente: 10 bit quantistici possono già contenere simultaneamente 1024 numeri differenti mentre 100 bit quantistici ne possono contenere 1.267.650.600.228.230.000.000.000.000.000 – sempre tutti allo stesso tempo.
Diventa chiaro a questo punto che il problema principale è trovare all’interno di tutti questi simultanei risultati, quello giusto. Un po’ come avviene nelle ricerche con i motori di ricerca web che, per selezionare un sito, si servono di un software chiamato crawler, così per i computer quantistici c’è bisogno di adeguati algoritmi che selezionino in tempo reale tutti i percorsi d calcolo, individuando quello giusto. È incoraggiante il fatto che siano già stati trovati numerosi algoritmi molto potenti come il Quantum Algorithm Zoo del National Institute of Standards and Technology, una agenzia governativa degli Stati Uniti che si occupa della gestione delle tecnologie.
Facendo una ricerca sul web ho scoperto, con piacere, che c’è anche una azienda di computazione quantistica: la Seecq, finalizzata a questo scopo, guidata dal ricercatore napoletano Marco Arzeo, che lavora in collaborazione anche con l’Università Federico II di Napoli.

Passiamo adesso all’ingegnerizzazione – la realizzazione pratica di tali macchine – che al momento risulta ancora abbastanza impegnativa.
Uno dei problemi maggiori è possedere il pieno controllo dei fenomeni quantistici sopra descritti perché la possibilità che questo avvenga limita le dimensioni e i volumi della quantità di materia da controllare. Su oggetti molto grandi gli effetti quantistici interagiscono neutralizzandosi. Si è pensato allora di utilizzare wafer sottilissimi di silicio o di grafene – ne abbiamo parlato nel n. 7 della rubrica – che formino delle impurità in superficie tali da produrre dei singoli bit quantistici; oppure singoli elettroni fluttuanti sull’elio, atomi con carica elettrica (ioni), superconduttori, fotoni e svariate altre particelle.
La difficoltà di queste soluzioni è che per poter funzionare devono essere tenute a temperatura vicina allo zero assoluto (- 2730 C). Ciò è presto fatto se si tratta di raffreddare pochi qubit, ma l’operazione si complica notevolmente, sotto il profilo ingegneristico, se i qubit sono miliardi.
L’alternativa consiste in ioni intrappolati (gli ioni sono atomi con cariche elettriche) che riescono a lavorare a temperatura ambiente o con un raffreddamento relativamente “modesto” (- 1960 C). Il team dell’Università del Sussex dove lavora Hensinger, sta lavorando alla realizzazione di questo prototipo. Il funzionamento si completa con gli ioni che vengono fatti passare da regioni di memoria a regioni di cancelli quantistici, dove vengono eseguiti i cancelli logici quantistici, cioè le computazioni vere e proprie. Per l’esecuzione dei calcoli occorre una coppia di raggi laser per ogni singolo qubit. La difficoltà del grosso numero di laser da implementare, viene superata sostituendo ad essi potenziali elettrici controllati da un microchip.

L’ENIAC, è stato uno dei primi computer della storia dell’informatica, costruito nel 1946 negli Stati Uniti, seguendo le istruzioni del fisico inglese Alan Turing era grosso quanto una parete. La sua capacità di calcolo e di elaborazione oggi possiamo dire che è raccolta in un qualunque chip di qualsivoglia smartphone. Un computer quantistico detiene, al momento, lo stesso problema per le rilevanti dimensioni. Però sappiamo della capacità di rapido sviluppo della miniaturizzazione tecnologica; speriamo solo di aggiornare, a breve, la legge di Moore dall’informatica tradizionale a quella quantistica.

Abbiamo lasciato per ultime le capacità di utilizzo di questa nuova tecnologia informatica, quando sarà diffusa su larga scala. Sono numerose e tutte utilissime; si va dalle applicazioni commerciali, ai servizi finanziari, alla meteorologia, alla ricerca medico-farmaceutica, alla logistica e ai trasporti, alla cybersecurity con un notevole potenziamento. Proprio riguardo la sicurezza informatica che tanto ha tenuto sotto scacco la Regione Lazio per il blackout di questi giorni, l’informatica quantistica permetterà di comunicare in sicurezza, con la tranquillità di sapere che saranno le leggi stesse della fisica a proteggerci da intrusioni e manipolazioni di malintenzionati hackers.

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