Ci mancavano solo le minacce di morte a Pizzuti
Visto che in Irpinia siamo messi benissimo con i livelli occupazionali, con le attività produttive nemmeno sfiorate dalla tragedia Covid, con la qualità dell’aria nel capoluogo che è tutta salute, con una classe dirigente politica superlativa, e soprattutto con un futuro prossimo e remoto che promette il paradiso terrestre alla cosiddetta Next Generation, ci mancavano – nella nostra amata Irpinia – soltanto le minacce di morte al direttore generale del “Moscati”, Renato Pizzuti. Il quale – detto per inciso, e al di là delle sentenze, oltre ogni ragionevole dubbio, d’improbabili tribunali del popolo – ha due grandi, irrecuperabili difetti: è un professionista di collaudata competenza e rara sensibilità, ed è una persona perbene. Difetti raccontati dal suo curriculum, da diverse specializzazioni e master dopo la laurea in Medicina, dalla lunghissima esperienza maturata nel Servizio Sanitario, dalla condotta adamantina certificata in circa 40 anni di attività.
Sarà impresa pressoché impossibile, per gli inquirenti, individuare e assicurare alle patrie galere l’autore del gesto: un plico, recapitato per raccomandata al manager, contenente un proiettile di pistola, simbolismo classico d’intimidazione para-camorristica. Sarà compito assai complesso per gli investigatori perché le minacce anonime – dunque, per definizione, scientificamente cariche di viltà – non lasciano tracce visibili, sono un po’ come il proverbiale ago nel pagliaio.
Nel caso specifico, non aiutano nemmeno le parole scritte sulla cartolina raffigurante Pisa e alla quale era stato fissato il proiettile: medici, infermieri, pronto soccorso. Seppure il riferimento “pronto soccorso” fosse al contesto del caso Ospedale Landolfi (quindi al nuovo atto aziendale del Moscati) che ha tenuto banco in quest’ultimo mese, la circostanza potrebbe rivelarsi sufficiente ad inquadrare un clima, non a disegnare l’identikit dell’anonimo, vile autore del gesto.
Appare doveroso e utile, tuttavia, profittare di questo gravissimo e sgradevole episodio per lanciare una provocazione. Assumiamo come molto probabile l’ipotesi che la volontà del gesto criminale sia stata determinata dal suddetto contesto. Un contesto – va sottolineato – che letto in trasparenza ha svelato un grande desiderio di alimentare “ammuina”: apparentemente finalizzata al raggiungimento di obiettivi alti e nobili (la difesa della Salute, che invece e paradossalmente proprio il contestato nuovo atto aziendale garantisce); nella realtà un’ammuina creata ad hoc, sulla pelle della gente solofrana e più generalmente irpina, per assecondare fregole di protagonismo costi quel che costi, speculazioni politiche (occhio all’elezione del presidente della Provincia e all’anti-deluchismo di maniera), interessi generalmente distanti anni luce da quelli collettivi della comunità irpina.
Assumiamo come fondata l’ipotesi di quel contesto – dicevamo – e poniamoci una domanda che mira ben oltre la retorica di circostanza. La domanda è la seguente: non sarebbe tempo che si provasse un po’ tutti, in Irpinia, a darsi una mossa per fare con maggiore senso di responsabilità il proprio mestiere?
Nell’ultimo mese, proprio attraverso le sequenze offerte dal film tragicomico “Siamo tutti solofrani” – abbiamo assistito alle scene patetiche dei Martin Luther King de noantri: politici e politicanti che hanno raccontato d’avere un “dream” – un “sogno” – per l’ospedale di Solofra, e poi s’è scoperto che non potevano sognare per la semplice ragione che dormono abitualmente all’impiedi invece di leggersi l’atto aziendale prima di aprir bocca.
Il film ci ha propinato scene di aspiranti Nobel della Scienza Sanitaria Globale, che però – ahinoi! – scambiano i Tribunali dei diritti del Malato per la Suprema Corte di Cassazione, e sputano sentenze severe e ormai inappellabili, per di più in un Italiano che profondamente turba il sonno eterno dell’irpino De Sanctis.
Lo stesso film ci ha fatto apprezzare stravaganti eloqui e sbrigativi giudizi universali di soggetti smaniosi del Pulitzer, ancorché in preda ai fumi dell’alcol, che tuttavia confondono il giornalismo con il “tuttologismo”, l’opinione personale con il Verbo Divino (se preferite: Di Vino): è la categoria più pericolosa quando si parla di Sanità, niente provoca maggiori danni della comunicazione approssimativa di questo settore sulla psiche delle persone.
Va da sé che i primi a dover svolgere il loro mestiere al meglio delle competenze e al massimo della responsabilità, con costanza e trasparenza, sono i vertici delle aziende ospedaliere e sanitarie. Vivaddio, però: se prima di tranciare giudizi ci si prendesse la briga di leggere gli atti e di capire, si renderebbe un enorme ed utilissimo servigio agli interessi collettivi, prima ancora che alla doverosa ricerca della verità.
Insomma, ed anche a prescindere dall’epilogo criminale che indirettamente avrebbe potuto causare, l’ammuina sul caso degli Ospedali Riuniti Moscati-Landolfi è un esempio classico di montatura politico-popolar-demagogica. È il bla bla bla dell’irragionevolezza abusivamente elevato a presunta dignità di difesa del diritto all’assistenza sanitaria. Un’azione intelligente ed efficace, piuttosto, sarebbe quella di sollecitare certezze sui tempi attuativi di un atto aziendale di raro spessore strategico per la provincia irpina. Laddove ci sarebbe bisogno di spingere il processo, invece, la demagogia inconcludente di certi novelli Stregoni della Buona Sanità rischia purtroppo di frenare la concretizzazione del programma, allontanando l’obiettivo di miglioramento dell’assistenza ospedaliera che tutti vogliamo e chiediamo.
I commenti sono chiusi.