Se il M5s lacrima, il Pd piange a singhiozzo
Come è giusto che sia, le cronache nazionali stanno dando grande spazio e rilievo al caso – ma meglio sarebbe definirlo “casino” – 5 Stelle. Il Movimento ha vinto le elezioni del 2018, è la forza politica con la maggiore rappresentanza parlamentare, è al governo da circa tre anni seppure con coalizioni volubili e inimmaginabili alla vigilia di quel voto, almeno fino al prossimo passaggio elettorale condizionerà in misura rilevante il quadro politico nazionale.
È dunque del tutto normale che cronisti, commentatori e politologi stiano versando fiumi di parole sul “casino” 5 Stelle in attesa che il duello al calor bianco tra il Fondatore Grillo e – mia personalissima opinione – l’Usurpatore Conte si risolva in uno dei due modi più probabili: 1) Un compromesso al ribasso per evitare il peggio per tutti, con rinvio della resa dei conti a tempi migliori; 2) La rottura definitiva, con la nascita del “partito di Giuseppi” fondato su un consistente numero di parlamentari 5 Stelle: eventualità equivalente, quest’ultima – ed è ancora mia personalissima opinione – ad un “furto con destrezza” cinicamente consumato dall’ex Premier.
In definitiva, sono sacrosanti lo spazio e il rilievo dati alla Grande Disfida. Ma la babele di cronache, prese di posizioni, dotte analisi, detti e contraddetti, ha prodotto sin qui l’effetto di diluire la sostanza della questione, fino a causarne l’irriconoscibilità: la sostanza – come ha ben sottolineato il senatore Pd Luigi Zanda – è che siamo di fronte ad un duello che non ha niente a che vedere con la Politica ma molto, anzi tutto, con il Personalismo, mai come in questo caso, e in senso molto estensivo, sinonimo di Qualunquismo.
Lo scontro tra Grillo e Conte è decisamente di natura personalistica: la materia del contendere, infatti, non elenca l’identità, la visione, il ruolo del Movimento, ma si riduce a mera e cinica lotta tra due soggetti, allo stato dei fatti per di più “privati”, per stabilire chi è il “Padrone” dei 5 Stelle: ovvero chi deve comandare nel Movimento, se il naturale “Padre Padrone”, come è stato da sempre, anche quando Conte – grazie a Grillo e non per aver vinto un concorso o almeno le elezioni – ha fatto per due anni e rotti il Presidente del Consiglio; oppure l’ “Usurpatore” che vuole spodestare il Padrone, che rifiuta perfino la Diarchia con il Padrone, e che insomma vuole i Pieni Poteri (un po’ come Salvini), la Monarchia Assoluta, alla faccia della tanto cianciata “Democrazia Diretta”.
Tutto sommato, questo scontro tra Padroni e Pretendenti Tali, è argomento noioso che, perciò, qui e subito va liquidato con l’espressione intelligente, profonda, laconica presa in prestito dal mio amico “Mincuccio da Grottaminarda” da un antico proverbio dialettale: “Caurar’ ccu caurar’ nun si tingeno” (Letteralmente: “Caldaia con caldaia non si tingono, non si sporcano”. Nel senso allegorico voluto: “Persone uguali per modo di fare e per inconfessabili intenzioni non risolvono i problemi: li fanno piuttosto patire a chi sta in mezzo”, nella fattispecie al Movimento, in buona misura anche al Pd, per estensione alla Politica in generale).
Attenzione, però. Il Movimento ha smesso di ridere e comincia a piangere. Ma se la Meloni, Salvini e perfino Berlusconi possono concedersi qualche risatina, chi d’ora in avanti rischia di piangere a singhiozzo, come e più dei 5 Stelle, è proprio il Partito Democratico di Enrico Letta.
Sulla scia del predecessore Zingaretti, infatti, il leader del Pd si è dato anima e corpo a diffondere il Verbo dell’Alleanza Strategica con il Movimento. Ha gioito “serenamente” quando Conte, in buona sostanza, si è autoincoronato Re dei 5 Stelle. Non ha detto, con l’estrema chiarezza con cui lo disse Zingaretti, che Conte è la persona giusta per guidare l’area progressista, ma ci è andato molto vicino, magari senza pensarlo, perché al fondo delle cose Enrico, in fatto d’autostima politica, ha una ipertrofia dell’Ego sviluppata almeno quanto quella di “Giuseppi”. Epperò, se Conte dovesse vincere la partita contro Grillo, uscendone in tal modo rafforzato, come farà Letta a negargli la leadership dell’area progressista? E, soprattutto, glielo farà fare il Pd, e con quale seria spiegazione al proprio elettorato? Sostenendo che il Pd non ha al suo interno personalità degne di ricoprire quel ruolo? Che il Pd è la ruota di scorta del Movimento? O forse che Conte è il nuovo De Gasperi e nessuno se n’è accorto? Di certo non basterà più il ritornello che l’alleanza con i 5 Stelle è indispensabile a qualsiasi costo – ripeto: qualsiasi costo! – per battere le destre, anche perché questa coalizione si ritroverebbe senza l’apporto d’una parte di “centro” già bell’e pronto ad allearsi con la destra, preferendo turarsi il naso anziché respirare a pieni polmoni l’aria grillina.
Bisogna convenire che sta facendo cose strane questo Pd in formato Letta con la regia occulta dell’ineffabile Bettini. Da una parte si cedono quote di “sovranità” del proprio partito ai 5 Stelle osannando il Messia Conte, una roba politicamente blasfema che peggio non si potrebbe. Dall’altra si aprono sotto banco guerre interne – ed è il caso Campania – contro la leadership di personaggi come De Luca. Al di là dei motivi che possono ispirarle, nella fattispecie antiche ruggini di Letta nei confronti del governatore, la cosa paradossale è che mentre si aprono finestre, porte e portoni per il Movimento in crisi di ossigeno, si tenti di minare una delle pochissime e collaudate “fortezze” del Pd nel Mezzogiorno d’Italia, peraltro da soli otto mesi consolidata, proprio grazie a De Luca, dal 70 per cento di consenso popolare.
D’altra parte, e in conclusione, se in una realtà come l’Irpinia, da sempre cartina di tornasole “preveggente” delle dinamiche politiche nazionali, accade che persone dello spessore di un Donato Pennetta si allontanino dal partito dopo decenni di militanza, e nel contempo aumenti l’attività dei tesserifici tanto al quintale messi in produzione da giullari, ignoranti populisti e cinici tassisti della politica, vuol dire che qualcosa di serio non funziona nel Pd. Qualcosa che a distanza di tempo sembra dar ragione a Ciriaco De Mita quando affermò che il Pd – di fatto – non esiste.
I commenti sono chiusi.