La risposta per Saman soffia nel vento
Una vecchia ma ancora bella e attuale canzone di Bob Dylan “Blowin’ in the wind” recita:
“…Quante volte un uomo può voltare la testa
e fingere di non vedere?
Quante orecchie deve avere un uomo
prima di sentire le persone piangere?
Quanti anni può esistere un popolo
prima di essere lasciato libero?”…
A volte, mi sa, non bastano i giorni e gli anni.
Non sono bastati, di certo, alla giovane Saman Abbas, la ragazza di origine pachistana residente in provincia di Reggio Emilia e di cui da più di un mese non si hanno notizie.
Secondo gli inquirenti è stata uccisa e sepolta chissà dove dai suoi familiari per il suo rifiuto di andare in sposa ad un cugino e per il desiderio che nutriva di vivere all’occidentale.
Sognava l’amore la giovane Saman.
Con lo slancio e la purezza dei suoi diciotto anni desiderava una vita normale in cui scegliere a chi affidare il suo cuore e con chi condividere sogni e tempo.
E sognava una vita felice ma semplice, fatta di rispetto, di idee e comportamenti non imposti ma pacati e condivisi, di rossetto sulle labbra, perché no, di momenti di leggerezza. Quella leggerezza che è un diritto vivere, in modo pulito, a diciotto anni.
Sognava di vivere liberamente in una società che non soffocasse ma piuttosto stimolasse la crescita individuale e la capacità di critica costruttiva.
Con la forza ed il coraggio tipico delle donne ha lottato a lungo per realizzare i suoi ideali, percorrendo una strada sempre irta, costretta a fuggire dai suoi congiunti e a cercare riparo in una casa-famiglia, ma tornando poi da chi si illudeva potesse, alla fine, sentire e comprendere la sua sofferenza e concederle così di vivere la vita che desiderava.
Avrà pianto a lungo Saman per ciò che il destino le ha riservato per il solo fatto di essere nata in una terra caratterizzata da sempre da violenti scontri politici e religiosi e da chiusure ideologiche.
Una terra dura, dal clima arido, in cui non c’è posto per il dialogo e la comprensione. Un luogo in cui è pura normalità addirittura uccidere un familiare che si discosti dai precetti imposti da un Dio e una società poco misericordiosi.
Ma ha sofferto invano Saman se ha dovuto imparare ad affrontare i suoi problemi senza l’amore e la condivisione di una mamma; se persino la madre e il padre non hanno avuto cuore e orecchie per sentire e comprendere il suo dolore e le sue lacrime, se hanno voltato la testa mentre prendevano la decisione di ucciderla o quando decidevano di non concederle la libertà di vivere la sua vita nel modo da lei prescelto.
Io non so se da qualche parte del mondo possa davvero esistere un Dio che voglia la morte di chi, secondo i suoi dogmi, sbagliati o no che siano, ha forse peccato.
Ma credo che Saman abbia combattuto una guerra impossibile o che avrebbe dovuto combattere fino in fondo rimanendo nella casa-famiglia in cui era ospitata, senza sperare nel cambiamento della famiglia di origine. Quella famiglia che probabilmente l’ha tradita e consegnata nelle mani di freddi e spietati esecutori per poi vigliaccamente fuggire dal mondo occidentale, consapevoli che qui, da noi, c’è un Dio diverso, umano e comprensivo, che mai avrebbe voluto la morte di una ragazza, per nessun motivo.
Saman era semplicemente una fanciulla gioiosa e innamorata che aveva il diritto di vivere la sua giovane età e di coltivare i suoi sogni senza paure e senza lacrime.
Chissà, come dice Bob Dylan, “… quanti morti ci vorranno ancora prima che l’uomo capisca che troppa gente è morta” invano!
La risposta, per Saman, sta soffiando nel vento…
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