Il Pd irpino e il tempo della svolta

Chiedo venia ai lettori se l’editoriale di oggi è dedicato alla politica: intendo alla politica dei partiti, nel caso odierno il Partito Democratico irpino. Le scuse sono per la noia, più che giustificata, che l’argomento può suscitare. Noia giustificata perché, nella crisi generale dei partiti, il Pd irpino potrebbe essere assunto a paradigma di ciò che una formazione politica non dovrebbe mai essere.

Questo Pd, infatti, nella sua storia più o meno recente vanta il “merito” d’aver visto i suoi organismi sciolti da un Tribunale, non già dal Nazareno. Uno scioglimento per via giudiziaria e non politica, dunque, che racconta con inappellabile eloquenza tutto quanto di peggio si potrebbe dire, roba che per carità di patria risparmiamo ai nostri lettori. Ed è anche per questo, per evitare noia e riproposizione del pessimo profilo del Pd, che sarò breve.

Scrivo del Pd irpino, di questo Pd, perché sembra che a fine mese si potrà tenere il congresso provinciale rinviato per oltre due anni prima a causa di un commissariamento senza fine e poi della pandemia.

Vale sottolineare che sarebbe scorretto non scrivere del Pd perché– piaccia o meno, e nonostante il suo pessimo profilo – questo è ancora oggi l’unico partito strutturato d’Irpinia, quello cui si ispirail maggior numero di amministratori locali, insomma la formazione che più d’ogni altra orienta la vita istituzionale e amministrativa della provincia di Avellino.

Si va a congresso a fine maggio, quindi, e si va nel peggiore dei modi, che poi è il modo perfettamente in linea con quanto è accaduto negli ultimi anni: profonde divisioni interne causate non da visioni strategiche differenti ma da personalismi duri a morire. Una guerra fratricida, non finalizzata al confronto di idee per far prevalere quella migliore, ma alla sfida muscolare per esibire le proprie capacità di prevaricazione.

Le squadre in campo, al lordo dei diversi salti delle quaglie, sono note, diciamo pure tristemente note. Da una parte ci sono i deluchiani del De Luca avellinese, i dameliani, i santanielliani, i petracchiani ed altri piccoli “ani” annessi e connessi. Dall’altra c’è il trio Del Basso De Caro, Petitto, Festa. Noti (tristemente noti, data la qualità dei rispettivi tesseramenti) sono anche i numeri di cui i due raggruppamenti dispongono. La contabilità ufficiosa restituisce un netto vantaggio della prima squadra citata rispetto alla seconda. Per farla breve, il candidato della prima squadra, Nello Pizza, ha sulla carta molti più consensi del candidato dell’altra squadra, Gerardo Capodilupo. Detta diversamente, il congresso è già bell’e definito: niente di nuovo sotto il sole, tanto varrebbe stilare un documento a tavolino e si risparmia agli iscritti il disturbo di partecipare e alla stampa la fatica di raccontare il nulla.

Tutto scontato, perfino la noia, se non ci fosse un particolare contesto in cui si svolge il congresso di questo partito. E vale la pena ripeterlo: l’unico partito strutturato della provincia. Il contesto è quello della pandemia, ovvero la cornice di una provincia già storicamente in affanno che ha avuto la mazzata finale e oggi è in ginocchio, come e forse più delle altre province della Campania. Il contesto – di contro e per fortuna grazie proprio alla pandemia – è anche quello di una fase di rinascita che sta per aprirsi con il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza: una fase che offre grandi opportunità, ma a condizione che i territori facciano la loro parte, con intelligenza, impegno, lucidità di pensiero e di azione.

Sicché la domanda, semplicissima, è la seguente: il maggiore partito della provincia, l’unico partito strutturato della provincia, può davvero offrire il massimo supporto possibile ai nuovi processi di sviluppo in cui può inserirsi l’Irpinia nelle condizioni di guerriglia permanente e distruttiva in cui versa? Hanno mai pensato, le due squadre avversarie, che facendo convergere gli sforzi sul campo delle idee, invece dello scontro fine a stesso, si può finalmente esercitare la funzione per cui i partiti sono nati ed esistono?

Oltre tutto, se le due squadre, riassunte nei nomi dei succitati riferimenti, avessero i loro fuoriclasse in grado di andare a goal per sé e per gli altri, il problema non ci sarebbe. Non pare, però, che ci troviamo di fronte a leader talmente carismatici da poter fare a meno gli uni degli altri. Per giocare con la metafora calcistica, non siamo ai campionati del mondo, non si stannocontendendo i Mondiali Italia e Germania. Più modestamente, qui la sfida è tra formazioni rionali, dignitose quanto si vuole, ma pur sempre rionali.

Insomma, e in conclusione, possibile che in questo Pd non ci siano almeno due persone, in rappresentanza delle formazioni in campo, che si facciano portavoce della necessità di un congresso unitario per l’Irpinia innanzitutto e poi per il partito? Nessuno, in alternativa, che chieda l’intervento del segretario nazionale, Enrico Letta, per fargli dire come si sta nel partito ch’egli ha detto di voler ricostruire?

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