Da segnatura per le pecore a elemento di studio per l’elettrodinamica quantistica
Coloro che mi leggono, qualcuno almeno, si ricorderà che due numeri fa ho parlato degli Ig Nobel.
Tra i vincitori di questa scienza divertente, nel 2000, c’era stato il russo naturalizzato inglese, Andrej Gejm con l’esperienza della levitazione diamagnetica della rana. La scoperta forse, ma lo scienziato non era nient’affatto da sottovalutare. Infatti dieci anni dopo , nel 2010, lo vincerà davvero il più autorevole premio Nobel, insieme al suo allievo Konstantin Novoselov, per la scoperta del materiale di cui oggi parlerò: il grafene.
Cos’è il grafene?
In due parole: è una pellicola di grafite. Una pellicola particolare, però, perché composta da un’unica superficie, sottilissima dello spessore di un atomo, suddivisa in tanti esagoni ai vertici dei quali sono presenti gli atomi di carbonio. Anche la scoperta sembra l’uovo di colombo, perché, si racconta che i due l’abbiano realizzata appiccicando nastri di adesivo a un pezzetto di grafite.
La grafite è nota come la mina delle matite per scrivere. E lo sapevano bene alcuni pastori inglesi che nel XVI secolo – scovato un giacimento sui campi dove pascolavano le pecore – cominciarono a numerarle con le tracce nere che lasciavano queste pietre sul loro manto. La grafite è carbonio puro, così come lo è il diamante con un’unica variante, il loro stato allotropico. L’allotropia non è un concetto difficile, è solo il modo in cui si dispongono gli atomi di carbonio all’interno del minerale. Il diamante ha gli atomi di carbonio disposti a forma di tetraedro (una piramide a quattro vertici); la grafite, invece, li ha disposti in superfici orizzontali fogliettate e sovrapposte simile come aspetto a un millefoglie. Ogni superficie è come un pavimento a piastrelle esagonali. La differenza è tutta qui. Volendo potremmo tranquillamente trasformare la grafite in diamante, se solo avessimo la possibilità di sottoporla a pressioni tra le 50 mila e le 70 mila atmosfere e portarla a oltre 100 km di profondità, a temperatura del mantello terrestre, 3500°. Non proprio facile, vero? Ecco perché i diamanti è così difficile ritrovarli sulla superficie terrestre, per la maggior parte vengono fuori dai condotti vulcanici. Al tempo stesso invece, la grafite, che si è formata geologicamente molto più in superficie è di più facile reperimento.
Eppure questo minerale ridotto in superfici di grafene sta per prendersi una bella rivincita sulla nobiltà del fratello, un po’ la storia de Il ricco e il povero. Il diamante è al vertice della scala di durezza dei minerali, composta di dieci gradi. La grafite si colloca tra il talco e il gesso, tra 1° e 2° grado, facilmente scalfibile quando è in strati sovrapposti. Però una volta ridotta a un’unica superficie sottilissima bidimensionale, acquista oltre che leggerezza e flessibilità anche tenacia e resistenza insospettate. L’inverso del concetto di l’unione fa la forza. Nella motivazione del premio, il comitato per il Nobel citò l’esempio fornito dai due scopritori e cioè che un’amaca di un metro quadrato di grafene può reggere il peso di un gatto, pur pesando all’incirca come una sua vibrissa. Magari simile esperienza non è mai stata tentata, ma può servire a darci un’idea della personalità dei due e della loro originale immaginazione.
Il grafene ha proprietà meccaniche, ottiche, termiche ed elettriche straordinarie e uniche, che prospettano per il futuro – e in parte già realizzate nel presente – molteplici applicazioni.
Il materiale delle meraviglie, è la definizione che gli è stata attribuita.
Proprietà elettroniche e di ricerca quantistica
Il grafene è un ottimo conduttore di cariche elettriche. Gli elettroni che si ritrovano a muoversi lungo il piano bidimensionale del grafene diventano equivalenti a particelle senza massa e si comportano come neutrini elettricamente carichi. Questo oltre che conservare, senza rallentarla, una enorme mobilità degli elettroni – di cento volte maggiore a quella sviluppata oggi nei transistor e microchip al silicio – permette ai ricercatori di osservare interessanti fenomeni quantistici.
“È come avere l’acceleratore di particelle del CERN sulla scrivania” così si è espresso qualche scienziato.
Per il momento almeno il grafene, per un problema di costi, non sostituirà il silicio. È più probabile, invece, che sia utilizzato in applicazioni irrealizzabili per il silicio, come ad esempio la produzione di schermi flessibili. Colossi delle telecomunicazioni come: Nokia, Samsung, LG stanno investendo moltissimo per sviluppare e produrre cellulari, computer e televisori che potranno essere “arrotolabili” come un foglio di carta.
Le attuali batterie agli ioni litio hanno gli elettrodi in carbonio, di solito in grafite. Ad ogni ciclo di ricarica gli ioni litio penetrano tra gli stari di grafite che è capace di immagazzinarli efficientemente. Purtroppo però, questo processo, deforma e altera ciclo dopo ciclo, la struttura morfologica della grafite. Il grafene, sottilissimo, permette di moltiplicare la superficie di utilizzo – fino a 2600 metri quadrati per singolo grammo – e ottimizza il trasferimento degli ioni litio, resistendo a deformazione e usura.
Il grafene come filtro molecolare
Il grafene è praticamente impermeabile. All’interno della sua struttura bidimensionale si possono realizzare delle fessure nanometriche che permettono di filtrare selettivamente liquidi e ioni. Tra le possibili applicazioni, quella di creare fori opportunamente dimensionati per utilizzarli con funzione osmotica, finalizzata a desalinizzare l’acqua del mare oppure, sequenziare frammenti di DNA in modo estremamente preciso e veloce.
Proprietà termiche e ottiche
Un singolo strato di grafene pur essendo spesso come un solo atomo è in grado di assorbire il 2.3 % della radiazione uniformemente su tutto lo spettro ottico. Per confronto, un film di silicio con lo stesso spessore assorbirebbe solo lo 0,003 della luce.
Il grafene è un ottimo conduttore termico, secondo solo al diamante, e molte applicazioni commerciali sfruttano questa caratteristica.
Additivo per le infrastrutture
A Saronno è nata l’Italchimica, azienda specializzata nello sviluppo e produzione di additivi chimici per l’asfalto che oggi – grazie alla costante innovazione dei suoi prodotti – opera in 90 nazioni . Da quattro anni sta sperimentando un asfalto rivoluzionario a base di grafene. Il Gipave, questo il suo nome commerciale, è un supermodificante polimerico a base di grafene e plastiche dure. Raddoppia la durata delle pavimentazioni stradali e ne migliora le proprietà meccaniche e termiche. Resiste fino a temperature di diversi gradi sotto lo zero e con l’aggiunta di biossido di titanio, quando viene colpito dai raggi solari, innesca un processo di riduzione degli inquinanti atmosferici paragonabile alla fotosintesi.
Utilizzo nello sport
Il grafene è stato utilizzato per la prima volta nel tennis nel 2012 con la creazione di una racchetta con maggiore resistenza meccanica e capacità dinamica. Se ne sono già serviti campioni come Novak Djokovic e Maria Sharapova.
Nel ciclismo, l’azienda italiana Vittoria utilizza questo materiale nella mescola delle gomme per assicurare maggiore aderenza, maggiore velocità, maggiore resistenza alle forature e più resistenza all’usura.
I finanziamenti per la ricerca
La Commissione Europea per la ricerca scientifica ha lanciato nel 2013 il Graphene Flagship Project, una delle più ambiziose iniziative di ricerca europea mai tentate, con una durata programmata di dieci anni e un budget previsto di cento milioni di euro all’anno. L’Italia, come abbiamo visto è in prima linea in questo settore di ricerca, non solo con aziende private ma anche con la partecipazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Istituto Italiano di Tecnologia e varie università.
Per concludere, che dire: le “menti vivaci” non sono soltanto quelle che restano incantate dalla bellezza abbagliante di un diamante! Per fortuna ci sono anche quelle che davanti ad una semplice scaglia di grafite insignificante ipotizzano possa avere delle qualità interiori, nascoste, da portare finalmente in evidenza. Con il risultato di realizzare, magari, soltanto una piccola amaca per farci accomodare, per il suo riposino quotidiano, il micio di casa.
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