Alla pieve
– Di Mirella Napodano –
Se trovassi ancora un momento per restare
di certo tornerei con te alla pieve di Gropina,
tra i muri di pietra serena
intrisi dei fumi d’incenso
di un antico salmodiare.
E sui ciottoli del selciato
nella viuzza solitaria
solo il rumore dei nostri passi a far eco
alla silenziosa profondità della vallata.
Tutt’intorno, un velo di nebbia ad avvolgere il monte:
bianca, ovattata cortina
complice di dolci segreti.
Sul limitare dell’abside romanica
che affida i suoi simboli ad un cielo opalescente,
saresti tu a spingere la porticina laterale
per accedere alla totale oscurità delle navate,
interrotta solo a tratti
dalla fioca luce delle candele
e dai tenui colori
che piovono dalle bifore di alabastro.
Nella penombra, il tuo braccio mi guiderebbe
tra la fuga delle colonne decorate
a scorgere i segni mirabili e il genio
di un linguaggio dimenticato:
frammenti di un mondo che non ci appartiene
ma di cui ancora ci giungono
oscuri messaggi da decifrare.
All’improvviso, dai capitelli, grottesche e severe,
solenni figure animalesche
rivolgono a noi le loro pupille imperscrutabili
in cui presto si fissano i nostri occhi assorti,
implorando in silenzio un cenno di benevolenza.
Fuori, oltre i decori del maestoso portale,
l’erbetta cresce tra i ciottoli del sagrato
ed i nostri sguardi potrebbero spaziare a lungo sulla valle,
galleggiando nell’oro luminoso del tramonto.
È in questo modo che il sole ci verrebbe in soccorso
(con regale munificenza, da par suo)
per fugare la malinconia del ritorno
che lacerando riduce in frammenti dorati
la calma, solare felicità dell’amore.
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