L’Irpinia ha bisogno di un “fatto politico nuovo”
– di Amalio Santoro –
Ho letto con interesse un recente editoriale del direttore Franco Genzale in cui si sottolinea il bisogno di “Politica” per affrontare le inedite sfide dell’emergenza Covid ed immaginare una ragionevole speranza di futuro per le nostre comunità.
La pandemia ha ancor più complicato l’interminabile “transizione” italiana, la sua crisi sociale ed antropologica; per alcuni politologi si può ormai solo amministrare il contingente, accettare una riduzione delle aspettative ed anche degli spazi di libertà!
Si può affermare che le democrazie fanno ancora i conti con la fine della stagione ideologica, delle cosiddette grandi narrazioni della modernità, che ha trascinato con sé anche idee ed idealità. Siamo passati in fretta dal “troppo al niente” della politica. I partiti di massa, incapaci di essere alternativi a se stessi, hanno tradito speranze ed attese. La politica è stata così travolta da una sorta di deriva mercantile, è cresciuto il suo discredito. L’aggravarsi della crisi economica e sociale ha fatto prevalere il rancore e la rabbia della gente contro la politica e tanti suoi protagonisti.
Abbiamo alle spalle anni devastanti anche nella nostra provincia; chi pensava di aver costruito un futuro magnifico e progressivo ha dovuto fare i conti con le dure repliche della storia! L’Irpinia è sempre più indietro e non solo nelle statistiche, si è impoverita la qualità del dibattito pubblico ed i giovani migliori si allontanano.
Continuo però a credere che non serva alimentare il disprezzo per la politica: la via per la giustizia e l’uguaglianza passa ancora per la politica, per una sua nuova moralità. L’obiettivo è in fondo ridare senso e valore alla democrazia che è sempre più esangue, ostaggio di interessi di pochi, travolta da nuove e vecchie paure.
L’emergenza Covid evidenzia fragilità sistemiche, costringe l’umanità smarrita a cercare nuove strade e nuovi ancoraggi. Non basta neanche la razionalità strumentale che fonda “sistemi intelligenti” ma in realtà assai fragili. Non servono “leader in titanica solitudine”, moderni liberatori; non si realizzano società perfette senza il contributo di “uomini semplici” che si organizzano e si liberano. Si torna dunque ai fondamentali, alle domande di senso, al farsi di una cultura della fratellanza, alla società della cura, al “creato in una carezza”.
Si afferma, con eccessivo ottimismo, che dopo il Covid non torneremo alla normalità malata, che l’epidemia incarna una sorta di radicale discontinuità, obbliga a nuovi stili di vita, a più avanzati equilibri sociali e politici. Continuo a credere nell’esigenza di rinnovare senza rinnegare: non si costruiscono le novità, in particolare in politica, annullando la memoria, tagliando le radici. Nel tempo della velocità si è spesso cancellata ogni tenerezza e così dal cielo dei valori si è scivolati nella democrazia del selfie. Penso che anche in questa compiuta modernità partiti strutturati possano ancora garantire un rapporto misurato ed intelligente tra popolo e stato; non immagino “un moderno principe” ma forze organizzate che si rinnovano, che puntano più sull’appello politico che sulle ragioni del potere.
Tocca più che mai ai Progressisti contrastare vecchie e nuove disuguaglianze, costruire un‘Europa più solidale, battersi per il rispetto della legalità, coniugare efficaci scelte immediate e pensieri lunghi. Tocca in particolare alle forze politiche che hanno sostenuto il II governo Conte non smarrire la bussola della solidarietà, della lotta alle ingiustizie, della coesione sociale e territoriale.
Mi riconosco da sempre nel cattolicesimo democratico, una originale tradizione politico-culturale, strutturalmente minoritaria, che ha saputo alimentare una grande iniziativa politica ed una significativa cultura di governo. Questa esperienza ha conosciuto l’epopea democristiana ed il suo fallimento, l’impossibile e doverosa esperienza del Partito Popolare di Martinazzoli, la grigia parentesi della Margherita e, negli ultimi anni, la sfida incompiuta di un nuovo soggetto, il PD, sintesi di diverse culture politiche. In verità il PD è “nato male”: un compromesso al ribasso tra ceti dirigenti esausti, autoreferenziali. Il dato quantitativo del partito non si è mai trasformato in qualità della proposta, dell’organizzazione, di nuove classi dirigenti. Le primarie sono state spesso una finzione, talvolta un imbroglio, sempre una corsa sgangherata verso il vincitore di turno. Nella cosiddetta fase Renziana il PD, partito post-ideologico, si è ulteriormente trasformato in una forza trasversale, segnata da un’assoluta “permeabilità”, soprattutto in periferia. La crisi politica e morale del PD in Campania, dove è ridotto ad aggregato familiare, ed in Irpinia ne sono la plastica conferma. Il Centrosinistra Alternativo nelle amministrative del 2009 e poi l’esperienza di Si Può nella città di Avellino sono nate proprio per testimoniare un’altra idea di impegno civile e di stile di militanza, più gratuita, mai rinunciataria.
In Irpinia facciamo i conti con la crisi dei partiti ma anche con i limiti di esperienze amministrative. Al Comune di Avellino assistiamo al protagonismo esasperato del Sindaco che così cerca di nascondere l’assenza di proposte e di strategia. Non è chiara la natura della coalizione che governa la città capoluogo: appare talvolta come uno schieramento dai tratti popolareschi, pronto a tutte le rivolte ed a tutti i pentimenti, e sempre come un pezzo regressivo del centrosinistra.
L’ Amministrazione Provinciale si è ridotta nel tempo, anche a causa di una riforma istituzionale dimezzata, in un oscuro consiglio di amministrazione, in cui si confondono ruoli e le responsabilità.
Siamo dunque in un tempo complicato ma non infecondo: possiamo impegnarlo a preparare al meglio il nostro futuro. Occorre qui ed ora arare il terreno, serve un lavoro di semina senza la pretesa di un raccolto immediato! Credo in fondo che la politica possa recuperare credibilità ed interesse se si riscoprirà umile, se saprà contare più sulle ragioni dell’umanità che su quelle della forza, se saprà rinunciare alla vittoria ad ogni costo.
L’emergenza sanitaria ha spinto l’Europa, i singoli Paesi ad effettuare investimenti pubblici significativi: sono disponibili risorse ingenti e supporti tecnici. Ora occorre che dalla periferia vengano suggerimenti intelligenti, idee innovative, mobilitazione e partecipazione diffusa. Sarà soprattutto necessaria capacità di sintesi politica. Non bastano allora rendite di posizione, vecchie e nuove cordate di un potere da rifondare. Bisogna elevare la qualità del confronto, non possiamo accontentarci di galleggiare in questo mediocre presente.
Il Centrosinistra, che non è mai nato nella nostra provincia, è oggi ridotto ad un insieme di satelliti frantumati che si ignorano o si scontrano. In Irpinia abbiamo bisogno di un “fatto politico nuovo”, è necessaria una vera fase costituente per una rinnovata alleanza progressista. Sarà però una scommessa conveniente se la politica del dopo Covid sarà vissuta come rischio e passione, come una inesausta e generosa battaglia ideale.
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