Il virus e l’ultimo sforzo che dobbiamo fare
Tredici mesi di morti, paure, ansie, nuove povertà, libertà negate, speranze affievolite, orizzonti confusi e – soprattutto – di assoluta mancanza di certezze sul futuro prossimo, figurarsi su quello remoto, ovvero su quando questa maledetta pandemia finirà di produrre effetti devastanti sulla vita di ciascuno di noi e su quella collettiva. Tredici mesi così sono lunghi l’infinito.
È normale allora – al netto dei negazionisti fin quando non si infettano, degli irresponsabili per partito preso e degli imbecilli per volontà di Madre Natura – che ci ritroviamo oggi tutti molto stanchi, sfibrati, diciamo pure vicinissimi all’orlo d’una crisi di nervi.
Il problema drammatico è che la nostra stanchezza è arrivata al massimo dell’umana sopportazione proprio quando abbiamo invece bisogno di energie e di entusiasmo per affrontare la battaglia (forse) decisiva per vincere la guerra contro il Virus.
A queste cose pensavo ieri mattina subito dopo aver letto sul Corriere del Mezzogiorno “La bussola di Draghi è il modello De Luca”, un commento di Antonio Polito, eccellente editorialista del Corsera le cui analisi lucidissime ed oneste non mi perdo mai e quasi sempre interamente condivido. Lì per lì, prima di leggere il testo, cadendo nella trappola di un titolo che si presta all’equivoco, ho trovato strano che Polito potesse individuare nel modello De Luca la rotta scelta dal Premier per sconfiggere il Covid. Conosco bene il pensiero assai critico del giornalista circa il governatore, da qui la sorpresa.
Ma si trattava di un equivoco, appunto. In realtà, Polito fa a pezzi il presidente della Campania. Scrive che la bussola di Draghi è il modello De Luca nel senso che al Premier basta fare l’opposto di ciò che fa il governatore per imboccare la direzione giusta. De Luca naviga verso Est, Draghi avanti tutta verso Ovest. E l’Italia è salva.
Anche l’esemplificazione cui egli fa ricorso è azzeccatissima. Il governatore si fa vaccinare saltando la fila e si giustifica spiegando che così fornisce la prova che i vaccini non sono pericolosi? Il Premier attende il suo turno di ultrasettantenne e annuncia che si lascerà iniettare il “contestato” AstraZeneca. Il governatore ha tenuto le scuole chiuse senza se e senza ma? Il Premier annuncia che dopo Pasqua si torna in classe almeno per Infanzia, Elementari e Prima Media. Il governatore prenota una consistente quantità di vaccino Sputnik? Il Premier mette in guardia contro la fretta a fare contratti con l’industria farmaceutica russa.
Per carità, sono esempi che ben motivano argomenti ed opinioni. Epperò – a parte il crollo di stile di De Luca che si vaccina “anzitempo” per paura e non già per fare da cavia, perdippiù non richiesta, episodio che il sottoscritto commentò in maniera durissima un’ora dopo l’accaduto – sul resto è davvero ineccepibile il punto vista di Polito? Davvero la “bussola” di De Luca è il modello di navigazione anti-Covid che ci porta a sbattere sugli scogli?
Con tutto il rispetto per l’editorialista del Corriere Della Sera, la mia opinione, costruita sulla cronaca di quanto fin qui accaduto, è di segno opposto alla sua, e spiego in rapida sintesi perché attraverso quattro domande dichiaratamente retoriche.
La prima: è vero o no che in Italia e in Europa chi dissentiva dalle misure “troppo restrittive” predicate e attuate da De Luca all’inizio della pandemia ha poi adottato esattamente (e con ritardo) gli stessi provvedimenti? La seconda: è vero o no che la seconda e terza ondata di Virus sono state essenzialmente aggravate dai comportamenti individuali e dalla mancanza di controlli denunciati da De Luca e puntualmente tollerati dal governo Conte & Compagni? Ancora una domanda, stavolta sulla scuola: è vero o no che nonostante le imprudenti rilassatezze di Conte, Speranza e Azzolina, diversi altri governatori hanno opportunamente scelto la linea rigorista per il rientro in classe, e che lo stesso Draghi ha avviato la sua guida governativa frenando le frette dei No Dad? La quarta ed ultima doppia domanda: è vero o no che per mesi De Luca ha gridato nel deserto la verità della Campania fortemente penalizzata nelle forniture di vaccini, anche rispetto a regioni di gran lunga meno popolate? Cosa avrebbe dovuto fare, De Luca: attendere il miracolo governativo della moltiplicazione dei pani, dei pesci e dei… vaccini, invece di individuare percorsi alternativi come molto saggiamente ha infine deciso di fare?
Ma questa, ormai, è storia passata. È di tre giorni fa, e di grande attualità politico-sociale, invece, l’appello del presidente della Campania alla “mobilitazione generale”. Non per fare la rivoluzione a chiacchiere, come si potrebbe facilmente ironizzare. Né per dare un contributo alla propaganda demagogica, visto che non ne ha bisogno, essendo ancora fresco di elezione, avendo a sostegno una maggioranza solidissima e, dunque, avendo ancora quattro anni e mezzo di governo regionale da dirigere, molto probabilmente gli ultimi anni della sua carriera politica.
Niente di tutto ciò. Si tratta d’altro. La “mobilitazione generale” cui fa appello De Luca è ancora una volta l’invito alla responsabilità istituzionale, alla collaborazione dei corpi intermedi e delle persone individualmente intese per sostenere al meglio la campagna di vaccinazione. La quale, tra una settimana massimo due, assumerà i caratteri logistici di una vera e propria “campagna di guerra”: la svolta per uscire dall’emergenza; oppure, in caso di fallimento, il baratro del disastro.
Cosa scegliamo di fare in Campania (e non solo): battaglie politiche e di interessi non alti e nobili ma bassi e miserevoli, oppure una “grande impresa” sociale per un definitivo “Vaffa” al Virus? Il clima politico nazionale non è affatto buono. Arrivano segnali sempre più chiari di parti politiche e gruppi di pressione che spingono per distruggere piuttosto che per costruire. Sicché da noi, in Campania, la scelta non può essere tra difetti, vizi e virtù di De Luca (c’è tempo per la guerriglia), bensì tra la sconfitta e la vittoria sul vero nemico del futuro prossimo e remoto: il Virus.
Tredici mesi sono tanti, sono troppi. Tredici mesi sono abbastanza per spiegare e giustificare l’orlo, ormai vicinissimo, delle nostre crisi di nervi. Ma non pensate che valga lo sforzo di tenere alta la schiena e la testa ancora pochi mesi – come racconta la Scienza – se questo ulteriore sacrificio ci farà uscire dal tunnel, rinverdirà le speranze e darà, soprattutto per i nostri giovani, una qualche certezza in più sul futuro prossimo e remoto?
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