Sono nell’anima un lupo
– di Emanuela Sica –
Dal più piccolo filo d’erba al raggio che l’attraversa, la rugiada scivola e si ferma, un attimo prima di essere risucchiata. Il vento agita, appena, i campi e i pensieri che si svegliano all’alba. Poi un sussurro, impercettibile, si pente di aver tagliato quel silenzio… mentre le stagioni si rincorrono come infelici amanti, senza mai prendersi, appartenersi. Lei, nel palmo di quel mondo, non ha modo di nascondersi, è ovunque. Lascia che il tempo, fatto di argilla, carne, passi, le cammini addosso senza dire una parola. Muta, accoglie ogni cosa, marchiandola col fuoco del suo nucleo vitale. Anche quando una fame vorace l’assale, fertilizzante per la sua linfa, si prende giusto il tempo di morire per poi rinnovarsi, germogliare nuovamente. Se vuoi vederla, non serve girare lo sguardo nel vuoto, basta fermarsi in un campo. Raccogli una zolla, sfregala nella mano. Ha consistenza e colore, una fragranza familiare. Solco che incolla vita a vite, ci sporchiamo di Lei, di quello che è. Ancestrale è la sua origine, in essa ogni cosa si fonde. Se ti fermi ad ascoltare, puoi sentire la sua voce. Dalle profonde depressioni delle vallate si inerpica lungo i crinali, l’esplosione del mattino la moltiplica. Infinite schegge si conficcano nelle cellule di ogni essere vivente. È così che prende dimora, dentro il liquido amniotico, senza fare alcuna differenza. Afflato e lignaggio di tutto quello era e che sarà, si lega nel tempo, il nostro. Tempo che la rende uguale e diversa ogni giorno, che scorre, impaziente, per vedere le orme di quei passi che si fermeranno a riposare. Quando affonderanno nel suo ventre si sentiranno al sicuro, avranno braccia profonde proteggerli dagli spettri che si agitano nella notte. Morire nella sua culla non sarà una fine ma la riscoperta dell’incipit, del lungo canale percorso per venire al mondo. Perché Lei è madre e matrigna, curva e cerchio che si chiude, padrona e schiava dei nostri giorni. Dallo strappo ombelicale al primo vagito, altra carne prende forma, segue il passo degli ululati che risalgono nel respiro, prima asfittico e poi così grande da contenere tutta una vita: la mia. Sfogliati i giorni, nel libro dell’esistenza, d’improvviso mi ritrovo nel cono di una bottiglia. Lei mi chiama, vuole essere abitata, vissuta, amata, protetta, anche con i denti. Denti affilati, taglienti, magari sporchi di sangue. Sangue di fame e miseria, di lavoro e abbandono, di silenzio e umiliazioni, di illusioni e negazioni. Sangue necessario per la sopravvivenza. Da dove esco entro: dal grembo di mia madre alle verdi terre di un paesaggio dipinto dalla storia. Il destino mi ha segnata qui, dentro scenari e dimensioni che tracciano un silenzio che pullula d’abbandono. Appartengo a questo luogo, spazio condiviso con l’anima inquieta, abbarbicata nelle pietre, persa nei vicoli, legata al rintocco della campana, che si frantuma nel dolore di chi va via senza dire addio. Lei è sintesi di giorni lucidi e oscuri, se non ci fosse potrei diventare evanescente, sparire. La genesi è un lupo che scende dai boschi, che vaga libero negli spazi disabitati dalla speranza, stretti nel dolore di un terremoto mai dimenticato. Un boato che risuona nei timpani senza perdere l’eco nel tempo. Un cesello di rabbia nella quiete di borghi appena rischiarati dalla luna, così gravida di perché da farmi sentire infinitamente piccola. Potrei cibarmi solo di ricordi, rimarrei un cucciolo per sempre. Eppure non si può evitare il pensiero di fuggire. C’è sempre una via, l’angolo dove incuneare il distacco. Se corro e non mi fermo, potrei lasciarla senza rimpianti, romperei il vetro, anelerei il trapasso in altre vite. Non ho il coraggio di scappare, ho la forza di restare. Voglio rimanere, gli spiriti chiedono vite da osservare, fiammelle per rischiarare le notti del passato, non c’è nessuno che voglia essere, veramente, dimenticato. In Lei voglio vivere il presente, attendere il futuro. Resto, inconsapevolmente viva, nella terra dei miei natali, senza il bisogno di sapere perché, senza attendere la salvezza. Perché sono nell’anima un Lupo e il mio spirito è vincolato a lei, la terra che mi ha generato: l’Irpinia.
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