Lettere / 4 – Nessuno ti sarà più fedele
– di Emanuela Sica –
Chi si spinge ad affrontare il suo mistero riesce soltanto ad argomentare sulla grandezza, sbagliando per altro. “Dicono sia come un pozzo, profondissimo, oscuro e luminoso insieme.” “Dicono sia come un lago con la superficie leggera, calma, senza fondale”. “Dicono sia come uno scrigno, dalla capacità non ben definita, che custodisce un inestimabile tesoro.” Eppure, al di là degli esercizi filosofici, nessuno sa cosa ci sia davvero al suo interno. Qualcuno lo sospetta, lo immagina o, magari, inventa presenze e potenzialità inaspettate. Al di là della sua grandezza, che è quanto un pugno, io posso dire cosa c’era nel tuo: l’umanità. Lo so perché è il tempo dei resoconti, delle chiusure. Voglio tirare la linea, forse troppo breve, di questa giornata iniziata uguale alle altre… ma che sta per finire su questa carretta che ci porta, velocemente e, inutilmente, altrove, ma dove? Se ancora riesci a sentirmi, lungo la direttrice del tronco io risalgo e mi siedo comodo nel pensiero fino a che l’aria avrà fatto il suo ultimo ingresso. Tra le ramificazioni delle vene, che mi nutrono ancora, mi agito come se dovesse sfuggirmi di mano il tempo. Da questa visuale, dal centro, tutto parte e ogni cosa, qui, ritorna. E anche oggi, come ogni altro giorno, ma in una condizione diversa, mi trovo a fare i conti con te. Sin da quando sei venuto al mondo, ed io ancora non sapevo chi fossi, mi sono reso conto che avevi qualcosa di diverso, unico, speciale…e che presto saremmo diventati una cosa sola. Mi sono riempito, giorno per giorno, bevendo da te e tu da me, quello che serviva (ad entrambi) per crescere, fortificare, esprimere, urlare, gioire. Ingoiato parole e anche silenzi, lunghi, corti, quanto un giro di lancetta o quanto un giorno. Ci siamo regalati tante emozioni, dubbi, paure, entusiasmo, amore, terrore…insomma la vita. Intorno a me sei cresciuto. Dentro di te sono cresciuto. Era facile attecchire, germogliare, ingrandirmi, nel tuo terreno così ricco di minerali, semplici eppure introvabili, fertile di bontà, caldo di fratellanza. Ed è strano, adesso, sentire il freddo che ti sta invadendo. Non riesco, per quanto mi sforzi, ad arrestare il violento distacco della vita dal tuo corpo, che poi è anche il mio. Di fianco ho altri compagni, figli della stessa umanità, ma tragicamente, severamente colpiti. Io resisto, ci provo, magari ancora un po’, per darti l’ultima carezza. So che le tue bambine, tua moglie, lo vorrebbero ma… prima lascio uno sguardo, di compassione e dolore, a Mustapha che non si muove, perde sangue senza lamentarsi. È morto, ho visto la scia del suo passaggio, velocissima. Mi chiedo perché e la risposta brucia nella gola. Vittorio invece ha gli occhi sconfitti, respira sempre più lentamente. Ha tentato l’impossibile, provando a farci da scudo ma… è ormai chiaro che le vie del Congo saranno il nostro Calvario. Non parlare, non serve, prova a tenere il fiato nei polmoni, fai un ultimo sforzo. Tanto lo so che se dovessi tornare indietro tu rifaresti, non una ma altre cento volte, la stessa via, lo stesso percorso, daresti la vita (la tua, la mia) perché il cuore è così, non batte solo per sé. In fondo se non lo si usa, non lo si smuove, non lo si apre, non lo si trasforma, resta solo un muscolo. E Luca ci credi? Un pezzo di questo tuo cuore si è appena trasformato, è diventato polline. Viaggerà lontano, spinto dai venti di scirocco, per rifiorire nel ricordo di chi ti ha amato, di quanti ti hanno visto tornare, avvolto nel tricolore, insieme a Vittorio. Nell’antico Testamento scrissero: “Segui il consiglio del tuo cuore, nessuno ti sarà più fedele di lui…” ed io, che sono il tuo cuore, ti sono così fedele che resto, per sempre, nel tuo petto prossimo ad arrendersi. Ho finito la mia lettera di commiato, tu hai sofferto già troppo, adesso mi fermo. Lascio andare tutti i battiti che ci restano, che ci legano, indissolubilmente, a quest’attimo. Luca, Vittorio, Mustapha riposate in pace nei Campi Elisi… ognuno tra le braccia del proprio Dio.
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