IL CONGRESSO PD IRPINO UNA SFIDA AL BUON SENSO E ALLA LOGICA
Dalle cose che si leggono e si sentono, pare che il Partito Democratico irpino stavolta sia proprio determinato a celebrare il congresso provinciale alla data fissata dell’8 marzo: non si capisce – quanto al giorno e al mese – se si tratti di pura coincidenza o di un messaggio subliminale in omaggio alla Festa della Donna. Invero, saremmo più orientati verso la prima ipotesi. E tanto perché, almeno stando alle indiscrezioni, la maggioranza teorica del partito (ne scriveremo da qui a poco) si sarebbe già accordata sul sesso, oltre che sul nome, del segretario da eleggere – pardon! – da nominare. Trattandosi di un nome di genere maschile, chi volesse far passare per congresso – diciamo così al femminile – la scelta dell’8 Marzo rischierebbe, al minimo, d’esser preso a pomodori in faccia.
Andiamo per ordine, cominciando proprio dal nome del “prescelto” segretario. Le voci dicono Nello Pizza. E qui serve una brevissima digressione. L’Avvocato Pizza è persona degnissima. Professionista eccellente e di chiarissimo profilo etico, potrebbe essere la guida ideale per un partito in condizioni pietose e per di più reduce da un lungo commissariamento indotto, addirittura, dallo scioglimento per via giudiziaria degli organi statutari. Insomma, un bravo Avvocato al capezzale d’un Pd uscito sostanzialmente dalle aule del Tribunale sarebbe, in via teorica, anche una decisione coerente.
C’è un “però” al riguardo. Nello Pizza – ripetiamo – è un Avvocato d’indubitabile prestigio. Ma la propensione già dimostrata per la politica è inversamente proporzionale al suo valore professionale. E qui torna utile ricordare, per Pizza ma non solo, la definizione che dava dell’attività politica Rino Formica, un socialista di sicuro spessore culturale e di assoluta autonomia intellettuale: “È sangue e merda”, diceva. Espressione che nei salotti pubblici diventava: “La politica è per gli uomini il terreno di scontro più duro e più spietato”. Un esercizio, aggiungiamo, vale la pena aggiungere, ben diverso dalla dialettica pur aspra, ma di diversa natura e finalità, delle aule giudiziarie.
Tuttavia, non è il nome del segretario il vero problema di questo Pd deciso a celebrare il congresso in piena pandemia, manco se dall’adunata dell’8 Marzo potesse uscire la quantità di vaccino che urge per immunizzare l’Irpinia prima che si allunghi all’inverosimile la lista dei lutti e dei contagi; oppure la formula magica del farmaco che può salvare vite e far tornare all’attività ordinaria i nostri ospedali; oppure ancora la risoluzione delle gravissime questioni d’ordine economico e sociale indotte dal Virus.
Dietro il nome del segretario – ahiloro, ma anche ahinoi, perché così si svilisce la funzione utile della politica – c’è una doppia sfida: al buon senso e alla logica.
Sfida al buon senso in quanto si sta sprecando l’occasione, offerta proprio dall’emergenza Covid, di celebrare un congresso unitario, capace di azzerare le divisioni interne e recuperare energie per aiutare una comunità messa in ginocchio dagli effetti devastanti del Virus. L’indiscrezione, infatti, è che si andrà al congresso più lacerati che mai. Da una parte, le truppe di tesserati che fanno capo all’ex presidente del Consiglio regionale D’Amelio, all’ex senatore De Luca e al consigliere regionale Petracca, insieme per fare maggioranza ma profondamente divisi e “nemici” al loro interno. Sull’altra sponda, l’esercito compatto ma leggermente minoritario (con i numeri del tesseramento 2019, altra grande anomalia) del deputato Del Basso De Caro, del consigliere regionale Petitto, del sindaco di Avellino Festa e del sempre più potente ex parlamentare Angelo D’Agostino.
È una sfida alla logica politica perché il governo centrale di unità nazionale di fatto azzera la “rendita di posizione” sui territori che il Partito Democratico poteva vantare con il centrodestra all’opposizione, sicché ora più che mai si sarebbe dovuto lavorare per difendere il primato ancora detenuto in Irpinia. Un Pd che continua con lo spettacolo indegno fin qui fornito non può che alimentare sfiducia, tanto più nella fase di drammatica congiuntura economica e sociale che stanno vivendo le comunità locali.
Si sussurra che dietro la decisione di celebrare un congresso di guerra e non di pace ci sia la mano del Governatore De Luca, deciso senza possibilità d’appello a punire gli “infedeli”, che dal suo punto di vista rispondono ai nomi di Del Basso De Caro, Petitto e Festa. È inverosimile che un leader del suo spessore, peraltro impegnato nella difficilissima lotta al Covid, possa sprecare tempo in facezie del genere. Impossibile più che inverosimile. Ma bene farebbe De Luca a smentire chi eventualmente millanti usando il suo nome: ne va della sua stessa credibilità.
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